Intesa-Ubi, solo i soci storici bergamaschi dicono ancora no all'operazione (ora cambieranno idea?)
Dopo l'ok dell'Antitrust e l'annuncio di un premio cash di 0,57 euro ad azione per chi aderisce all'Ops, anche le fondazioni sono passate con Ca' de Sass. Ha senso per gli orobici continuare a opporsi?
di Andrea Rossetti
La diga sembra essersi ormai rotta. Nonostante gli appelli dei vertici di Ubi ai propri azionisti, sono sempre di più quelli che hanno deciso di aderire all'Offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa per acquisire l'istituto bergamasco-bresciano. Come da previsioni, decisivi si sono rivelati due fattori: il via libera dell'Antitrust all'operazione e la decisione di Ca' de Sass di aggiungere un premio cash di 0,57 euro ad azione per ogni azionista che aderirà all'offerta.
In particolare, quest'ultima mossa di Carlo Messina ha rotto la resistenza delle fondazioni: nel giro di poche ore, sia la Fondazione Monte di Lombardia di Pavia col suo circa 4 per cento che la Fondazione Cassa risparmio di Cuneo, col suo 5,9 per cento di azioni Ubi, hanno annunciato la decisione di aderire all'Ops, facendo seguito al Sindacato Azionisti di Ubi, ovvero i grandi azionisti storici bresciani dell'istituto, che detengono oltre l'8 per cento. Del resto, sia l'ad Victor Massiah che la presidente Letizia Moratti avevano affermato che l'offerta di Intesa sottostimava il valore dell'istituto di circa un miliardo: con l'offerta cash in aggiunta al premio già pattuito di 17 azioni Intesa ogni 10 azioni Ubi, Messina ha alzato l'offerta di oltre 650 milioni, portando il premio complessivo dal 28 per cento al 44,7 per cento.
Arroccati sul fronte del "no", dunque, restano di fatto soltanto i grandi azionisti bergamaschi, divisi tra il patto Car e il Patto dei Mille, ovvero gli unici due raggruppamenti di soci di Ubi che, sin dall'inizio (il febbraio scorso) si sono fermamente opposti all'Ops, definendola «ostile e irricevibile», finanche «inaccettabile». Parole che Franco Polotti, presidente del fronte bresciano, nell'intervista rilasciata al Giornale di Brescia per annunciare il sì del patto che rappresenta a Intesa, ha definito avventate. Non stupisce, dunque, che ora anche gli storici soci bergamaschi si trovino "costretti" a valutare seriamente l'opzione dell'adesione all'Ops: il premio adesso è di quelli allettanti. Ma anche politicamente pare controproducente restare arroccati su posizioni che paiono non essere più condivise da (quasi) nessuno.
In attesa che queste adesioni passino dall'essere soltanto parole all'essere numeri, alla sera di ieri (17 luglio) il 3,85 per cento dell'azionariato di Ubi ha aderito all'Ops, che si concluderà il 28 luglio. Perché l'operazione vada completamente in porto, Intesa dovrà raggiungere il 66,67 per cento delle adesioni. Quota elevata, ma per nulla impossibile se davvero tutti gli azionisti sopracitati si muoveranno. Inoltre, a maggior ragione dopo l'aumento del premio con una parte cash, anche gli azionisti istituzionali, ovvero i fondi, si immagina che a breve annunceranno la loro adesione all'Ops. Un passaggio fondamentale, dato che questi detengono complessivamente una quota del capitale azionario di Ubi compresa tra il quaranta e il cinquanta per cento.