verità e giustizia

Le foto e i racconti del secondo "denuncia day": «A Bergamo un'ecatombe. Nulla è andato bene»

I parenti delle vittime si sono riuniti nuovamente davanti alla Procura per depositare ulteriori 50 esposti. I denuncianti provengono anche dalle regioni del Centro e Sud Italia

Le foto e i racconti del secondo "denuncia day": «A Bergamo un'ecatombe. Nulla è andato bene»
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di Federico Rota

Ciò che emerge dalle testimonianze di chi ha subito uno o più lutti a causa del Coronavirus è un misto di rabbia, dolore e senso di abbandono. Mai, però, di rassegnazione. Oggi (lunedì 13 luglio) i parenti delle vittime e i componenti del comitato “Noi denunceremo – Verità e Giustizia per le vittime di Covid-19” si sono riuniti nuovamente davanti alla Procura per depositare ulteriori 50 esposti in occasione di un secondo “denuncia-day”, dopo la prima cinquantina di denunce consegnate ai magistrati lo scorso 10 giugno.

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«Mia madre è stata trasferita dal pronto soccorso di Piario all’ospedale di Alzano a bordo di un’ambulanza insieme ad altre cinque persone - racconta Lidia Poli, residente in Val Seriana che ha perso la madre Loretta Bana lo scorso 8 marzo -. Dal momento in cui è stata ricoverata non l’ho più vista; tutto ciò che mi è stato riconsegnato di mia madre è stato uno zainetto contenente uno spazzolino da denti, il dentifricio, il carica batterie del cellulare e le cuffiette che usava per ascoltare la musica. Mi ha inviato un ultimo sms per rassicurarmi poco dopo le 20, ma il telefonino con cui siamo rimaste in contatto fino a poche ore prima che morisse (fatto accaduto poi alle 23.45, ndr) e che conteneva preziosi ricordi ai quali eravamo entrambe legate non l’ho più rivisto. Ciò che cerco è soltanto la verità».

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Le persone aderenti al comitato e i denuncianti si sono ritrovati in Piazza Dante a partire dalle 9.30, mentre sempre nella mattinata odierna il comitato ha inviato una lettera alla presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, e al presidente della Corte Europea dei diritti dell’uomo, Ròbert Ragnar Spanò, nella quale chiedono di vigilare sulle indagini in corso in Lombardia perché, a loro giudizio, potrebbero sussistere gli estremi per prefigurare il reato di crimini contro l’umanità.

«Vogliamo giustizia. Che si tratti della Regione o dello Stato non fa differenza, chi aveva il dovere di prendere delle decisioni non lo ha fatto e, invece, ci ha abbandonato - raccontano Sabrina e Tamela Grigis, di Selvino, che hanno perso il padre Giovanni, deceduto il 22 marzo all’età di 82 anni -. La malattia si è manifestata ai primi di marzo, poi il 7 la febbre e le crisi respiratorie si sono aggravate e abbiamo deciso di portarlo al pronto soccorso dell’ospedale San Gerardo di Monza. Le sue condizioni di salute sono migliorate e la febbre è passata; i medici ci hanno detto che il peggio era ormai alle spalle ed è stato ricoverato agli Istituti clinici Zucchi per la riabilitazione. Ci sentivamo tutti i giorni, i parametri vitali erano nella norma. Poi il 22 marzo alle 17.40 è deceduto, noi siamo stati informati alle 18. Dalla cartella clinica abbiamo saputo che erano giorni che non mangiava e non stava proseguendo la terapia perché non riusciva più a deglutire. Fortunatamente siamo riuscite a recuperare la salma contattando un impresario funebre nostro amico. Papà era una persona attiva, vitale e stimato in paese - aggiungono le due sorelle -. In Val Seriana e a Bergamo nulla è andato bene, si è verificata un’ecatombe. Non diamo la colpa ai medici, ma alle istituzioni: a causa di mancate decisioni nostro padre è morto solo e a migliaia di altre persone è stata negata la possibilità di salutare per l’ultima volta i propri cari».

Le denunce provengono non soltanto dalla Bergamasca, ma anche da altre regioni italiane; numerose, infatti, sono le testimonianze raccolte dall’Emilia Romagna, dal Piemonte, dal Lazio, dalla Puglia o dalla Campania. «Nostro padre Pietro è morto il 4 aprile scorso, all’età di 82 anni, dopo essere stato ricoverato in un reparto Covid prima ancora di ricevere l’esito del tampone - raccontano Elena e Stefania Ragazzoni, di Arona (in Piemonte) -. Faceva fatica a respirare e lo hanno curato con un respiratore che lo affannava ancora di più. Inizialmente non volevano neanche intubarlo, poi lo hanno fatto ma solo perché abbiamo insistito. Ci hanno risposto dicendoci che ci stavamo accanendo. Siamo venute fino a Bergamo a sporgere denuncia perché nel comitato abbiamo trovato persone che condividevano il nostro stesso dolore».

Attualmente il pool di legali che affianca il Comitato sta vagliando ulteriori denunce che, con ogni probabilità, verranno consegnate nelle mani dei pm bergamaschi entro la fine dell’estate.

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