La lettera di una lettrice

Magari mio marito avesse l'amante

Magari mio marito avesse l'amante
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«Tanti mi dicono che sembro serena, ma non è così. Semplicemente fatico a credere che tutto questo stia veramente accadendo a me. Mi pare di raccontare la terribile storia di qualcun altro. Non provo nemmeno odio. Provo solo disperazione e impotenza. Credo che sia normale sentirsi così quando, a quasi quarant’anni, il mondo ti crolla addosso. Fino a un anno fa ero una donna felice; oggi, invece, sono una zingara. L’articolo che avete pubblicato, quello sugli uomini distrutti dal divorzio... Era molto bello, toccante. E mi ha fatto venire voglia di sfogarmi con voi. Perché anche il mio, di matrimonio, è andato in frantumi. E perché anche io, come quegli uomini, mi sento persa.

La mia è una storia diversa, ma parte nello stesso modo: una storia d’amore perfetta, almeno per me. Io e lui stiamo - stavamo - insieme da dieci anni, tra fidanzamento e matrimonio. Lui ha più di cinquant’anni, ma era tutto come doveva essere. Certo, non sono mancati i momenti difficili, come in ogni coppia, ma guardando indietro sono orgogliosa di come abbiamo affrontato quelle avversità. Io, lui, noi. Sì, era tutto come doveva essere. Poi, circa un anno fa, il crollo: ho scoperto che il mio posto era stato preso dalla cocaina. Prima saltuariamente, ormai quotidianamente.

Come me ne sono accorta? A marzo 2016 ho iniziato a perdere dei pezzi di mio marito. Frammenti, briciole, ma abbastanza per farmi pensare. Ecco, ha l’amante, ho pensato. Gliel’ho chiesto, lui ha negato e io mi sono fidata. Eppure era cambiato. Come quella sera in cui, nonostante io fossi a letto con 39 di febbre, a mezzanotte mi ha detto che usciva a fare un giro. Sarà rimasto fuori venti minuti, non di più. Ma mio marito non l’avrebbe mai fatto. Mio marito non mi avrebbe raccontato bugie, non avrebbe passato fuori le nottate senza dirmi niente. Magari avesse avuto l’amante...

Un cinquanta euro arrotolato e una cannuccia da cocktail: sono questi due elementi che mi hanno aperto definitivamente gli occhi. Me lo ricordo perfettamente: era un lunedì, ma ho collegato tutto solo due giorni dopo. Stavo attraversando la strada e, improvvisamente, mi è caduto il mondo addosso. Mentre un pullman mi stava per tirare sotto, ho capito. Mi dicevo che non era possibile, non a lui. Non a noi. Ma più ci pensavo, più capivo che era proprio così: mio marito si drogava. Ho iniziato a chiedermi dove avessi sbagliato, cosa non funzionasse in me. Ma la verità è che queste domande non hanno risposta. E, soprattutto, non evitano che tutto crolli.

È iniziata una battaglia quotidiana tra me, che non mi volevo arrendere, e la sua dipendenza. È diventato bugiardo, infido, cattivo. Quando affrontavo l’argomento, riusciva sempre a farmi sentire in difetto o in errore. Ho provato in ogni modo, per nove mesi, a salvare la storia, a salvare noi. Ho proposto un percorso psicologico di coppia, ho chiesto aiuto a medici, al Sert, a preti. Ma lui rifiutava tutto. Mi sono mossa da sola, allora: come dovevo comportarmi? La risposta, purtroppo, era sempre la stessa: un uomo della sua età si può salvare soltanto da sé. Al Sert mi hanno anche detto che loro l’avrebbero visto solo se portato dai medici o dalle autorità, che non ci sarebbe mai andato di sua spontanea volontà. E avevano ragione, perché per lui il problema non esiste. Tutto questo, per una moglie, è devastante. Mi sento come se fossi a bordo di un’auto in corsa che sta andando a schiantarsi contro un muro.

L’unico modo che ho di salvarmi è lanciarmi fuori. A fatica, ma ci sto provando. Ho capito che, se voglio aiutarlo, prima devo salvare me stessa. Se non scendo da quell’auto in corsa, ci schiantiamo entrambi. Devo abbandonarlo. Per questo, a marzo di quest’anno, sono andata da un avvocato e ho chiesto la separazione nonostante lui continuasse a chiedermi tempo. Purtroppo, però, nessuno lo riesce a gestire, nemmeno i legali. Non si presenta agli appuntamenti, prima accetta delle condizioni poi le respinge, alterna momenti di lucidità a momenti di crisi. E ora siamo in un limbo in cui nessuno sa cosa fare, nemmeno gli avvocati. Io vivo da zingara, perché ad aprile mi ha cacciato di casa (che era sua) con una telefonata minatoria. Lui non è mai stato violento, non mi ha mai fatto del male, ma quella volta mi sono davvero spaventata e ho deciso di andare via. Sto un po’ dai miei, un po’ da parenti, un po’ da amici. Fatico a trovare un’abitazione perché questo anno ha distrutto anche gran parte del mio lavoro da libera professionista e non ho entrate certe. Il conto corrente, in comune con lui, è stato prosciugato. L’unica cosa che mi sono portata via è stata la bicicletta. Nient’altro.

E adesso? Restano solo le domande, le paure, le incertezze. Come può un uomo ridursi così, distruggere tutto? Come può l’uomo che ho sposato essere diventato questa persona? Com’è possibile che neppure gli avvocati riescano a fare qualcosa, ad aiutarmi? Veramente, le ho provate tutte. Sto pensando anche di fargli scrivere una lettera dal Papa. Sì, dal Papa. Magari le parole della persona più vicina a Dio le legge, le ascolta. Ma non credo servirebbe, purtroppo. L’unica cosa che mi tiene a galla è la fede. Sono sicura che tutto questo abbia un senso, anche se io adesso non lo capisco. Mi affido a chi c’è lassù, che vede molto più lontano di tutti noi. Io, tutto questo, non l’ho raccontato a nessuno. Parenti e amici pensano sia una storia di tradimento. Voglio tutelarlo, per quanto possibile. Forse perché spero rinsavisca, o forse perché temo che non tornerà più ad essere l’uomo che era e quindi tento strenuamente di difendere almeno l’immagine di lui. Scusate lo sfogo, ma quelle storie di uomini rovinati dal divorzio mi avevano colpito e ho deciso di raccontarvi anche la mia».

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