polemica infinita

Nuovo scambio di accuse tra Regione e Governo sulla non imposizione della zona rossa in Val Seriana

Il premier Conte non si giustifica e dice solo che poteva decidere Fontana; Fontana butta ogni responsabilità sulle spalle di Roma. E, nel mezzo, ci siamo noi

Nuovo scambio di accuse tra Regione e Governo sulla non imposizione della zona rossa in Val Seriana
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di Andrea Rossetti

Ormai sembra un brutto film a cui siamo costretti ad assistere, attoniti, nella speranza che finalmente la trama assuma dei contorni un po' più realistici. Anche perché, qui a Bergamo, la sofferenza e il dolore che ha portato il Coronavirus in questo mese e passa sono decisamente reali, tangibili nella violenza con cui ci hanno colpiti e travolti. Per questo appare stucchevole e imbarazzante il rimpallo di responsabilità che Governo e Regione stanno facendo circa le responsabilità della non imposizione, a inizio marzo, di una zona rossa tra Alzano e Nembro. Una non decisione che, ormai è stato unanimemente appurato, ha purtroppo facilitato l'espandersi del virus, trasformando un'emergenza in una vera e propria strage.

Dopo le tante pressioni, finalmente ieri (6 aprile) il premier Giuseppe Conte ha risposto esplicitamente alle domande sulla questione che gli sono state poste da TPI, uno dei primi media nazionali a realizzare inchieste sul tema. Il premier ha ricostruito l'iter decisionale di quei giorni e ha poi criticato l'operato di Regione Lombardia, rispedendo al mittente le accuse che gli erano state mosse.

«Non vi è argomento da parte della Regione Lombardia per muovere contestazioni al Governo nazionale o ad altre Autorità locali. Se la Regione Lombardia ritiene che la creazione di nuove zone rosse andava disposta prima, con riguardo all’intero territorio regionale o a singoli comuni, avrebbe potuto tranquillamente creare “zone rosse”, in piena autonomia. A conferma di questo assunto, si rileva che la Regione Lombardia ha adottato – nel corso di queste settimane – varie ordinanze recanti misure ulteriormente restrittive, le ultime delle quali il 21, il 22 e il 23 marzo 2020»

Circa la zona rossa: «Nella tarda serata di giovedì 5 marzo, il presidente dell’Iss rispondeva con una nota scritta, nella quale segnalava che, pur riscontrandosi un trend simile ad altri comuni della Regione, i dati in possesso (l’incidenza di nuovi casi e il loro incremento, nonché la stretta vicinanza a una città) rendevano opportuna l’adozione di un provvedimento volto a inserire i comuni di Alzano Lombardo e di Nembro nella cosiddetta “zona rossa”. Il giorno successivo maturava l’orientamento di superare la distinzione tra “zona rossa”, “zona arancione” e resto del territorio nazionale in favore di una soluzione ben più rigorosa che prevedesse la distinzione del territorio nazionale in due sole aree: la Lombardia e province focolaio di altre regioni e il resto d’Italia. La notte stessa del 7 marzo, sentite le Regioni e i ministri interessati, veniva dunque adottato il decreto del Presidente del Consiglio, che reca la data di domenica 8 marzo, con il quale l’intera regione lombarda diventava “zona rossa”».

Infine, la stoccata al governatore Fontana: «Quanto invece alle competenze e ai poteri della Regione Lombardia, si fa presente che le Regioni non sono mai state esautorate del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti, al pari di quanto hanno fatto altre Regioni, come il Lazio, la Basilicata e la Calabria, nei cui territori, con ordinanza, sono state create “zone rosse” limitatamente al territorio di specifici comuni».

Poco dopo, ecco arrivare la risposta ufficiale di Regione Lombardia, che "scarica" nuovamente ogni responsabilità sulle spalle del Governo:

«A fronte della mappatura della diffusione del contagio, Regione Lombardia il 3 marzo ha reiterato, fra le altre, la richiesta di istituire una zona rossa per Nembro e Alzano, attraverso il Comitato Tecnico Scientifico di supporto a Palazzo Chigi che condivideva tale valutazione, inoltrandola al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Salute. Nello stesso giorno in cui si registra il primo contagio in Lombardia (21 febbraio, ndr), il presidente della Regione con il ministro della Salute, ha assunto la prima ordinanza con l’obiettivo di sospendere le attività scolastiche, le manifestazioni pubbliche e le attività lavorative e commerciali. Il 23 febbraio viene istituita dal Presidente del Consiglio dei Ministri la zona rossa di Codogno. Nello stesso giorno viene istituita la zona gialla, che prevedeva minori restrizioni, con ordinanza firmata dal Presidente Fontana e dal Ministro Speranza».

«Il 1 marzo è stato concordato il primo Dpcm con misure restrittive su tutta la regione con particolare severità per le province di Bergamo, Cremona, Lodi e Piacenza, reiterando le misure già disposte per i dieci comuni del lodigiano. L’8 marzo il Governo ha deciso con proprio Dpcm - quello che ha generato il drammatico esodo notturno dalla Lombardia - di istituire la zona rossa in tutta la regione, superando ogni decisione relativa a Nembro e Alzano e cancellando quella di Codogno».

Nulla di nuovo, in fin dei conti. Da una parte c'è il Governo, l'istituzione che avrebbe dovuto realmente prendere una decisione e che, invece, non lo ha fatto, probabilmente impaurito dalle implicazioni economiche che una chiusura immediata della bassa Val Seriana avrebbe comportato, e che oggi di difende dicendo soltanto che quella decisione avrebbe potuto prenderla qualcun altro; dall'altra parte c'è invece la Regione, che non ha avuto la forza (o il coraggio?) di imporsi, di spingere le proprie competenze al massimo del possibile imponendo misure dure e rigide. In mezzo, noi. Che osserviamo attoniti questo scaricabarile. Ce ne fosse uno che ammettesse di aver sbagliato...

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