Investimenti rischiosi

Obbligazioni subordinate, cosa sono (per capire il decreto salvabanche)

Obbligazioni subordinate, cosa sono (per capire il decreto salvabanche)
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Mentre Matteo Renzi scalda i motori della sua Leopolda e Silvio Berlusconi torna in tivù per parlare di nuova «discesa in campo», i media continuano a dare grande spazio alla notizia del salvataggio da parte del Governo delle quattro banche da tempo in amministrazione straordinaria, cioè Banca Marche, Banca Etruria, Carife, e Carichieti. Il cosiddetto “decreto salvabanche” ha evitato il crack, il fallimento di questi istituti di credito, attraverso la creazione di quattro nuove banche che hanno ereditato da quelle in amministrazione straordinaria gli asset non deteriorati e il personale. Risultato: 132mila persone che avevano sottoscritto azioni e obbligazioni subordinate con gli istituti salvati dal fallimento si sono visti azzerare i loro investimenti, una cifra complessiva di circa 800 milioni di euro, di cui 350 milioni in mano a piccoli investitori. Tutti questi non vedranno più neppure un euro di quanto investito (almeno per ora).

Questi i fatti, narrati dai media nostrani in maniera un po’ confusionaria. In questi giorni, infatti, si è parlato di «correntisti truffati» oppure di «speculatori». In realtà nessuna di queste affermazioni è corretta: i correntisti, ovvero le persone che avevano un conto corrente in una delle quattro banche, proprio grazie all’intervento del decreto hanno visto salvi i propri soldi, così come gli obbligazionisti ordinari. A pagare le conseguenze del salvataggio sono invece stati azionisti e sottoscrittori di obbligazioni subordinate, non per forza di cose tutti speculatori.

 

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Cosa sono le obbligazioni subordinate. È giusto fare un po’ di chiarezza giunti a questo punto. Le obbligazioni subordinate, come tutte le obbligazioni, sono titoli rappresentativi di un debito, che permettono a chi le acquista di diventare creditore della banca emittente, incassando periodicamente degli interessi, le cosiddette cedole. Sono dette subordinate perché, a differenza dei bond (obbligazioni) ordinari, in caso di fallimento della banca i loro titolari sono considerati creditori di “serie B”, i cui diritti patrimoniali possono essere soddisfatti soltanto dopo aver risarcito altri soggetti: i dipendenti dell’istituto, i correntisti e i sottoscrittori dei bond ordinari. Insomma, i sottoscrittori di queste forme di investimento hanno un diritto di rimborso subordinato rispetto a quello dei creditori ordinari, legalmente detti privilegiati e chirografari. Ciò espone le persone che hanno scelto questa forma d’investimento a un grande rischio e alla possibilità di perdere anche il 100 percento della somma investita, cosa successa nel caso di specie.

Proprio per questo maggior rischio, le obbligazioni subordinate sono talvolta preferite rispetto a quelle ordinarie poiché offrono un rendimento maggiore. Parallelamente le banche “amano” offrirle ai propri clienti perché permettono di raccogliere una gran mole di liquidità e, allo stesso tempo, il loro collocamento è molto più economico rispetto a quello azionario. Un’ultima cosa è giusto sapere circa le obbligazioni subordinate: ce ne sono di vari tipi. Ci sono le Tier I, le Upper Tier II, le Lower Tier II e le Tier III. Tutte prevedono caratteristiche specifiche e differenti categorie di rischio. Per maggiori informazioni vi consigliamo di leggere QUI.

 

Banca-Etruria-Rettangolare

 

La polemica. Fatta chiarezza, il punto ora è un altro: hanno ragione a sentirsi “truffati” dallo Stato i sottoscrittori delle obbligazioni subordinate emesse dalle quattro banche salvate dal decreto oppure, avendo sottoscritto degli investimenti ad alto rischio, avrebbero dovuto mettere in conto questa possibilità? La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. È evidente che chi aveva deciso di acquistare delle obbligazioni subordinate avrebbe dovuto essere conscio del rischio che correva, ma sulla totalità degli investitori coinvolti, quanti erano stati realmente messi a conoscenza di cosa stavano andando a comprare? Solo una piccola percentuale di queste 132mila persone era composta da speculatori che per mestiere osano sapendo di osare. La maggior parte, invece, s’è semplicemente fidata di ciò che consigliava la propria banca. È inoltre venuto a galla che il profilo di rischio di queste obbligazioni, al momento della sottoscrizione (talvolta avvenuta anni fa), era stato descritto come basso sui documenti informativi obbligatori (i MIFID) e che solo negli ultimi mesi gli investitori si sono visti recapitare lettere che informavano che da profilo basso il rischio delle subordinate era stato alzato ad altissimo. A quel punto anche chi si è mosso per tempo nel tentativo di vendere le proprie obbligazioni si è trovato innanzi a un mercato obbligazionario falcidiato dalla notizia: chi avrebbe accettato di assumersi quel rischio comprando quelle obbligazioni?

La verità, dunque, è che i soggetti che hanno perso i loro soldi, forse, avrebbero dovuto leggere più approfonditamente le 50 pagine (di media) dei prospetti informativi legati ai titoli obbligazionari proposti dalle banche, così come è vero che le banche obbligano spesso la sottoscrizione di questi strumenti finanziari se si vuole accedere a mutui o forme di credito. Ma è anche vero che questi accorgimenti non avrebbero comunque cancellato totalmente il rischio di rimanere con un pugno di mosche in mano, visto che, come detto, i profili di rischio di molte di queste obbligazioni sono passati improvvisamente dall’essere bassi all’essere altissimi.

 

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La psicosi e il bail-in. Com’era prevedibile la notizia di quanto successo ha scatenato la paura tra i piccoli e medi investitori/risparmiatori italiani. Basta recarsi in una qualsiasi filiale e chiedere a uno sportellista: sono centinaia di migliaia le persone recatesi in banca per avere informazioni sui loro investimenti. E in molti casi gli istituti hanno dovuto ammettere che sì, anche tanti di coloro che chiedevano informazioni sono in possesso di obbligazioni subordinate. Non è psicosi, ma poco ci manca. Va però detto che il Governo ha fatto bene a muoversi prima della fine dell’anno: se la situazione si fosse protratta a inizio 2016, le cose sarebbero andate diversamente a causa dell’entrata in vigore del “bail-in”, il nuovo sistema di salvataggio delle banche che non permette più aiuti da parte dello Stato. Se ciò fosse accaduto, a pagare non sarebbero stati solamente azionisti e sottoscrittori di obbligazioni subordinate, ma anche quelli delle obbligazioni ordinarie e i correntisti con depositi eccedenti i 100mila euro. Cosa poteva fare quindi il Governo? Come spiega Matteo Corsini su MiglioVerde, l’unica soluzione alternativa percorribile sarebbe stato l’intervento delle altre banche italiane (meno malate) tramite il cosiddetto Fondo di tutela dei depositi. Una sorta di aiuto tra colleghi, dove a pagare sarebbero stati solo gli azionisti delle banche in crisi e, in parte, gli azionisti delle banche sane o meno malate. Ma la Commissione europea aveva già da tempo negato la fattibilità di questa soluzione, ritenendo che si sarebbe trattato di aiuti di Stato non consentiti.

Si possono salvare alcuni investitori? Davanti ai fatti, ciò che restano sono le dichiarazioni dei politici, che dimenticano di aver votato in massa, all’Europarlamento, la direttiva europea applicata nel caso di specie dall’Italia con il decreto salvabanche. A questo punto l’unica vera soluzione parrebbe essere la creazione di un fondo di solidarietà finanziato in minima parte da soldi pubblici e per una quota maggioritaria dal resto del sistema bancario. Le risorse disponibili con questo meccanismo sarebbero però nell'ordine di soli 120 milioni di euro massimo, cifra ben lontana dall’ammontare complessivo delle perdite, 350 milioni di euro. La soluzione offerta in tal senso dal ministro delle Finanze Padoan sembra la più percorribile: valutare caso per caso. Anche perché alcuni degli investitori rimasti con niente in mano probabilmente sono veri e propri speculatori finanziari, pienamente consapevoli del rischio a cui andavano incontro. La priorità, se si vuole intervenire, è salvare i piccoli risparmiatori rimasti vittima (in parte colpevoli) di un sistema marcio e mal controllato.

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