Ordine dei medici: Fenaroli in campo (contro i «privilegi» dei medici di base)
Privato Fenaroli ha deciso: si candida alla guida dell’Ordine dei medici di Bergamo. Primario di Senologia al Papa Giovanni, Fenaroli è un personaggio noto e politicamente schierato nell’area del centrodestra. Le elezioni dell’Ordine saranno in autunno. Chiamati a votare seicento medici di base e duemila ospedalieri.
Dottore, allora si candida.
«Sì, e ho anche chiesto che le elezioni si possano fare online. L’ho deciso perché il Covid ha evidenziato un totale scollegamento tra sistema ospedaliero e medicina territoriale. Se il territorio fosse stato armato come il sistema ospedaliero, con tutta probabilità non avremmo assistito all’ecatombe. Se i cittadini avessero potuto chiamare il loro medico con la certezza di poter avere una risposta e una visita a domicilio, io credo che le cose sarebbero andate in modo diverso».
I medici di famiglia hanno pagato un prezzo alto.
«Di fronte ai morti tutto il rispetto. Ma i morti ci son stati tra i medici di famiglia come tra gli ospedalieri. In ogni caso, la tragicità della situazione non deve annebbiare il senso critico».
Si spieghi.
«Perché sono successe queste morti? Perché mancavano i dispositivi di sicurezza? Ebbene, i medici di base sono dei liberi professionisti convenzionati: camici, guanti, mascherine e tutto il resto, dovevano averli loro, non chiederli all’Ats».
Torniamo all’Ordine dei medici.
«Parto da un’autocritica. Noi ospedalieri abbiamo sempre sottovalutato l’importanza dell’Ordine, ma è stato un errore. Per quanto possa essere ritenuto un ente inutile e costoso, è previsto dalla legge ed è decisivo al punto che se non sei iscritto non puoi esercitare la professione».
Quindi?
«Quindi l’Ordine non può rappresentare, come si è verificato da noi, soltanto i medici di base, ma tutti i medici. Non può essere il surrogato del sindacato dei medici di base. Ecco perché mi sono sentito di mettermi in campo, cercando di sollecitare soprattutto “l’armata ospedaliera”, sperando che non sia un’armata Brancaleone! Se ci sono le condizioni che sto sondando, si va avanti».
Che cosa critica delle scelte del presidente Marinoni?
«Che non ha mai posto la questione dell’obbligo della reperibilità per i medici di base. E non ha mai detto che bisogna introdurre la regola di tenere aperto l’ambulatorio tassativamente almeno sei ore al giorno, non solo tre».
Quanto lavora un medico ospedaliero?
«Da contratto sette ore e quaranta al giorno, in realtà molte di più: bisogna garantire il servizio in tutti i reparti, per non parlare del Pronto soccorso. Il fatto è che su dieci persone che si presentano al “pronto”, sette non dovrebbero essere lì: questo vuol dire che non hanno trovato una risposta sul territorio, guardia medica compresa».
Si rende conto che con queste risposte lei ha già perso tutti i medici di base?
«Il modo sbagliato di gestire la sanità del territorio è anche responsabilità loro e del loro sindacato, su questo non ci piove. In troppi casi prevale l’opportunismo. E per come si stanno svolgendo le cose, il prossimo disastro è dietro l’angolo».
Quale disastro?
«La riforma che si sta ipotizzando anche in Regione Lombardia, cioè quella di creare le unità speciali di continuità assistenziale (le Usca), va ancora una volta nella direzione sbagliata. Nelle Usca ci sono i medici che, “scafandrati”, protetti in ogni modo, a richiesta vanno a domicilio. Allora andiamo sul concreto: se in autunno e in inverno tutti i cittadini influenzati avranno la possibilità di chiamare le Usca, e questi medici vanno a casa e risolvono il problema, che cosa faranno i medici del territorio? È un doppione. La Lombardia deve chiarirsi le idee e ammettere una volta per tutte che i medici di famiglia, con questa normativa, non li può controllare».
Perché?
«Perché loro hanno questa Convenzione Nazionale, che è legge, e prescinde dalle Regioni. Il peccato originale è che la Regione non ha il potere di obbligare i medici alla reperibilità. Allora la Lombardia, per esempio sui malati cronici (tre milioni di persone) ha detto: diamo la possibilità ai pazienti di scegliere cooperative o strutture ospedaliere oltre al medico di base, con ulteriore esborso per le casse pubbliche».