Primi bilanci

Renzi, un anno da rottamatore

Renzi, un anno da rottamatore
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Trecentosessantacinque giorni di Renzi e del suo Governo, o meglio, trecentosessanta e qualcosa in base al punto di vista: nel 2014, il 17 febbraio l’allora sindaco di Firenze venne convocato da Napolitano per il conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio, il 21 febbraio presentò la lista dei Ministri, e il 24 prestò giuramento solenne. Nella sostanza, dunque, siamo nei giorni del primo compleanno di uno dei Governi più chiacchierati, controversi e sorprendenti (se in positivo o in negativo sta al giudizio di ciascuno) della storia repubblicana. Stando al discorso di insediamento che Renzi tenne di fronte al Parlamento un anno fa, quella che si sarebbe aperta sarebbe dovuta essere una stagione di cambiamento radicale dell’Italia, del suo assetto istituzionale ed elettorale, del mondo del lavoro, della giustizia e dell’economia, finanche delle più delicate problematiche sociali. Una rivoluzione, insomma. Fu vera gloria? Troppo presto per dirlo, non possiamo ancora considerarci i posteri di manzoniana memoria. Ma un piccolo bilancio è comunque già possibile tracciarlo.

 

 

Renzi si presentò all’Italia come il rottamatore, colui che avrebbe mandato in soffitta le vecchie gerarchie e le annose dispute che non permettevano al Paese delle “infinite possibilità” di sfruttare appieno il proprio potenziale. Parole forti e ambiziose per essere pronunciate da un uomo che, al netto della sua esperienza di politica locale fiorentina, poco o nulla sapeva delle complesse e infide dinamiche dei palazzi romani. Già, l’ambizione, un termine decisamente ambivalente, che può recare in seno un’accezione pesantemente negativa quanto positiva. E Renzi, probabilmente, se le merita entrambe: è chiaro che si tratti di un uomo a cui piace avere il controllo della situazione, sempre e sempre di più, senza guardare in faccia a nessuno; ma è altrettanto chiaro che questa si è rivelata anche un’abilità politica non indifferente, che in questo anno gli ha permesso di escogitare stratagemmi e attuare colpi di scena davvero notevoli pur di ottenere ciò che voleva. E, occorre ammetterlo, spesso a fin, se non di bene, perlomeno di utilità.

Renzi infatti iniziò il proprio mandato con le numerose, ma non sufficienti, fila del proprio partito e l’appoggio, formalizzato da qualche dicastero, di Ncd. Questa è stata, sulla carta, la maggioranza di Governo fino a ora, ma in diverse occasioni Renzi ha saputo trovare alleanze trasversali pur di arrivare ad un determinato scopo. Voleva fortissimamente una legge elettorale di un certo tipo, in particolare con premio di lista e non di coalizione (e come dargli torto, dopo le europee), e sapeva che aveva bisogno dell’appoggio del mai domo Berlusconi per portare a termine questo progetto, tanto quanto rispetto ad una modifica della Costituzione riguardo al bicameralismo perfetto. Et voilà, il Patto del Nazareno è servito, con tanto di alcune scene a dir poco da strabuzzarsi gli occhi, come quando l’8 agosto 2014 i senatori, con maggioranza quasi totale, votarono per la propria soppressione, oppure quando il 21 gennaio 2015 la nuova legge elettorale ottenne il via libera grazie ai voti dell’opposizione di Governo. Incredibile. Tanto incredibile quanto gli improvvisi lanci di cioccolatini che il Premier si è prodigato di operare, nei confronti delle minoranze del proprio partito, in occasione della scelta del Presidente della Repubblica: Mattarella doveva essere, e Mattarella è stato, anche a costo di concedere qualche eufemistico scricchiolio ad altre alleanze. Ma tant’è, per il momento come Renzi vuole, Renzi fa. Politicamente, dunque, il giudizio è un pollice alzato, ma con riserva: che tutto questo enorme castello di carte possa, prima o poi, rovinargli addosso è una possibilità perennemente annidata dietro ogni angolo.

 

 

Ma Renzi al Paese ha promesso molto più che una legge elettorale e qualche parlamentare in meno: ha parlato di nuove regole del mondo del lavoro per combattere la dilagante disoccupazione, di sblocchi dei debiti della Pa nei confronti delle imprese, di tagli fiscali importanti, di rilancio degli investimenti nei settori strategici, di una giustizia snella e celere, di “buona scuola”. E rispetto a questi temi, diversi plausi, qualche insufficienza, e ancora molte ombre.

Doveroso cominciare dalla riforma finora più importante messa a punto da Renzi e i suoi, il Jobs Act. È stato un travaglio vero e proprio l’iter parlamentare del decreto di riforma del mondo del lavoro, fatto di battaglie con sindacati e minoranze interne della maggioranza, di strenua ricerca di voti e numerose pacche sulle spalle dagli ambiti internazionali, soprattutto europei. Il dettaglio della riforma è reperibile QUI, e proprio oggi è arrivato un giudizio molto incoraggiante dall’Ocse, che ha definito il Jobs Act «parte importante di un ambizioso programma di riforme di ampio respiro per stimolare la crescita». Le novità introdotte da Renzi sono, manco a dirlo, ambiziose, dal contratto indeterminato a tutele crescenti all’abolizione di co.co.co. e co.co.pro., fino alla riforma degli ammortizzatori sociali. Ci vorrà almeno tutto il 2015 per capire se si tratti effettivamente di una riforma efficace, ma per il momento il giudizio è senz’altro positivo.

 

 

Da un punto di vista del fisco, qualcosa è stato fatto, a cominciare dai leggendari 80 euro che hanno permesso al Premier di entrare nel cuore anche di molti appartenenti alla classe lavorativa che vota a sinistra: i dipendenti di reddito medio basso. Forse è anche per questo che le minoranze del Pd più legate ai dogmi tradizionali della sinistra italiana hanno cominciato a far tribolare la vita interna del partito, sentendosi in qualche modo defraudati della loro mission principale e delle loro radici. Detto questo, demagogica o meno che sia, la mossa ha portato qualche euro in più in tasca a molti, anche se il controbilanciamento dato dal nuovo e caotico mondo delle tasse comunali (Tasi, Tari eccetera) fa pensare ad una mossa per mascherare la classica coperta troppo corta. In sede di legge di stabilità (spiegata QUI), invece, diverse buone notizie, come il taglio del 10 percento all’Irap, ovvero la prima vera mossa fiscale in favore delle imprese da diversi anni, e la riorganizzazione delle sovvenzioni statali agli enti locali sulla base del merito. Anche in questo caso occorre tempo, ma le prospettive sono interessanti.

Per quanto riguarda un altro tema fondamentale, lo sblocco dei debiti della Pa, che Renzi aveva promesso di effettuare entro maggio 2014, si pensava che i continui rinvii che il Governo operava circa questo tema fossero emblema di una sostanziale promessa al vento. Negli ultimi mesi del 2014, però, qualcosa si è mosso, con circa 36 miliardi di euro pagati alle imprese, ovvero la copertura, più o meno, dei debiti contratti fino al 2013. La strada è ancora lunga, ma perlomeno è un inizio.

 

 

Per quanto riguarda infine giustizia e scuola, per il momento si tratta ancora di promesse poco o nulla realizzate. Rispetto alla prima, il taglio delle ferie ai magistrati e la riduzione della chiusura estiva dei tribunali non sono neanche lontanamente sufficienti: occorrono misure che ridisegnino strutturalmente la giustizia italiana, su cui gravano oltre 5 milioni di processi pendenti, in un sistema in cui per arrivare appena ad una sentenza di primo grado ci vogliono mediamente tre anni. Per quanto riguarda invece la scuola, la riforma proposta dal Ministro Giannini è sulla carta interessante, prevedendo assunzioni per 100 mila unità nel solo 2015, disponendo una maggior autonomia dei singoli istituti in base alle esigenze e agli orientamenti propri, e predisponendo un corposo piano di rifacimento infrastrutturale. Nelle intenzioni non si poteva pensare di meglio, nella pratica, per ora, ancora poco o nulla. Si vedrà.

Buon compleanno Governo Renzi.

 

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