Rogo nella psichiatria del Papa Giovanni, forse Elena tentò di liberarsi dalle cinghie bruciandole
La diciannovenne potrebbe aver utilizzato l'accendino che aveva portato in camera di nascosto, innescando l'incendio nella stanza d'ospedale
Elena Casetto potrebbe aver utilizzato l'accendino che aveva portato in camera di nascosto per liberarsi dai cinghiaggi di contenimento, innescando il terribile incendio. Emergono nuovi dettagli sul rogo scoppiato il 13 agosto 2019 nel reparto psichiatria dell'ospedale Papa Giovanni di Bergamo, in cui la diciannovenne di Osio Sopra perse la vita. Novità e deduzioni sono state illustrate in tribunale da Andrea Foggetti, vigile del fuoco in servizio al Nucleo investigativo antincendio.
Come riporta Corriere Bergamo, l'incendio sarebbe dunque verosimilmente partito proprio dal letto dove Elena era contenuta: sembra che le cinghie non fossero eccessivamente restrittive e permettessero un minimo movimento, abbastanza per permetterle di maneggiare l'accendino. Per confermare l'ipotesi, il 29 agosto era stata anche effettuata una simulazione in scala reale all'interno di una stanza allestita nello stesso modo di quella andata a fuoco, dove si testarono le caratteristiche ignifughe di materasso e cuscini.
Le fiamme si sarebbero invece alimentate nel giro di pochi minuti, tra i quattro e i cinque. Il perché è stato ipotizzato dallo stesso Foggetti, che tra il 14 e il 19 agosto effettuò due sopralluoghi nella stanza: sovra ossigenazione, ovvero un'eccessiva presenza di ossigeno nella stanza causata dalla rottura di alcuni tubi nel controsoffitto, crollato sopra il letto, che ha dato vita a una maggiore infiammabilità. E a temperature eccessive: basti pensare, come sottolineato dal vigile, che bruciarono perfino le intelaiature delle finestre di alluminio, il cui punto di fusione è circa 660 gradi.
Indagati per omicidio colposo i dipendenti della squadra antincendio
A processo per omicidio colposo ci sono A.B., trentaduenne di Lissone, ed E.G., trentunenne di Paderno Dugnano, all'epoca dei fatti dipendenti della squadra antincendio della Gsa - società di Udine che gestiva il servizio di pronto intervento in ospedale. Gli uomini sono indagati per negligenza e imperizia: non solo non sarebbero stati in grado di seguire le previste procedure del piano di emergenza, ma avrebbero tardato nel chiedere rinforzi e ignorato l'idrante che si trovava di fronte alla stanza della ragazza avrebbero, tentando invece di usarne un altro - pare senza successo - distante una trentina di metri.
A domare l'incendio, di fatto, furono i vigili del fuoco arrivati successivamente. Ma la quantità di fumo dell'aria era troppa: Foggetti ha sottolineato la necessità di utilizzare i respiratori per percorrere un corridoio di quaranta metri. La grande quantità di fumo presente fu confermata anche da G.S., ex guardia giurata in servizio quel giorno. Fu proprio lui ad allertare i due indagati dell'incendio in corso, prima di raggiungere la Torre 7. Il fumo era talmente denso che dalla vetrata pare non si vedesse nulla.