L'intervista

La chiesa di Bergamo ha finito i soldi: parrocchie in crisi, a rischio asili e case di riposo

Patrimonio immobiliare imponente, ma la manutenzione costa. Don Mario Carminati, economo della Diocesi: «Per tante parrocchie è dura»

La chiesa di Bergamo ha finito i soldi: parrocchie in crisi, a rischio asili e case di riposo
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di Ettore Ongis

Si svuotano le chiese, ma anche le cassette delle chiese. Meno fedeli, meno offerte, è ovvio. E l’aria che tira nelle navate sembra sempre più fredda. Una decina di anni fa un economo raccontava che alla facoltosa Diocesi bergamasca sarebbe bastato aprire i rubinetti della Curia per veder scendere denaro.

Adesso le sorgenti che alimentavano quel tesoro hanno ridotto di molto la loro portata e monsignor Mario Carminati, vicario episcopale per le attività economiche, ha pensato bene di chiamare a raccolta parroci e consiglieri degli affari economici per fissare qualche punto fermo. Al convegno su 380 parrocchie ne erano presenti 70.

Il responsabile economia della Diocesi Don Mario Carminati
Il responsabile economia della Diocesi Don Mario Carminati

Don Mario, un brutto segnale…

«Sì purtroppo, ci aspettavamo molta più partecipazione».

Vuol dire che il problema non c’è?

«Il problema c’è, eccome. E credo che le tante assenze siano una conferma del fatto che le nostre parrocchie stanno facendo fatica».

Sfiducia nella Curia?

«Non penso che ci sia una disaffezione. Erano dieci anni che non si organizzava un incontro con i parroci e i loro collaboratori sui temi economici. Noi, come Diocesi, avvertiamo l’urgenza di farci sentire al loro fianco, sostenendoli e indicando possibili percorsi e letture della situazione».

Come vanno i bilanci delle parrocchie e della Diocesi?

«Diciamo che il momento non è facile, ma non c’è da disperarsi. La generosità dei bergamaschi nei confronti della chiesa è ancora tanta. Però negli ultimi anni, per le opere come asili, case di riposo e la manutenzione delle chiese il sostegno si è ridotto e la carità si è orientata sempre di più verso i poveri e verso la gente in difficoltà».

Giusto così, ma dal vostro punto di vista non è un segnale del tutto rassicurante.

«Non lo è. Le nostre parrocchie storicamente hanno risposto a mille esigenze, dall’oratorio alle scuole, alle case di riposo. Adesso si trovano a gestire strutture che fanno una grande fatica a stare in piedi. Tenga presente che le parrocchie piccole avevano quasi tutte una scuola materna - ne contiamo la bellezza di 250 -, che erano parte dell’identità stessa di una comunità, ma con la contrazione delle nascite e l’aumento dei costi la loro esistenza è minacciata. Su questo fronte sì, siamo in affanno».

E i parroci cosa fanno, bussano in Curia?

«Alcuni sì, altri sono in dialogo con le amministrazioni comunali che in molti casi intervengono anche in maniera consistente. Va poi riconosciuto che nel periodo del Covid i sostegni delle istituzioni hanno permesso alle scuole di respirare. Tuttavia, l’inverno che ci attende allarma non poco. Per questo, ad esempio, in Curia abbiamo pensato fosse opportuno introdurre il tema della centrale acquisti».

Basterà la centrale acquisti o le scuole dovranno chiudere?

«Se non si uniscono e fanno rete, alcune per forza di cose chiuderanno. I numeri rendono impossibile la gestione. L’indirizzo che stiamo dando, soprattutto alle materne delle valli e a quelle piccole, è di fondersi e diventare associazioni o fondazioni».

Ma la Chiesa di Bergamo non è ricchissima?

«La ricchezza della nostra Diocesi è determinata da un patrimonio immobiliare imponente. Questo è indiscutibile ed è sotto gli occhi di tutti. Ma pensare che sia sufficiente per far fronte a qualsiasi esigenza o avversità è un errore. Il patrimonio immobiliare o lo mantieni e lo fai fruttare, oppure è un debito. E in questi tempi non possiamo certo dire che riesca a coprire tutte le emergenze, che sono sono tante e diverse. E mi lasci aggiungere una cosa...».

Prego.

«Le parrocchie piccole, che pure faticano a far quadrare il bilancio, sono più sensibili alla loro chiesa e alle loro strutture. La gente dei paesi ricorda che quelle opere sono state volute dai loro padri e dalle loro madri. Le sentono come una cosa propria. E infatti fanno fronte più facilmente agli interventi di manutenzione straordinaria sugli immobili rispetto alle parrocchie più grandi».

Nelle quali?

«Bisogna dire che il senso di appartenenza alla chiesa è venuto meno. È un problema di educazione alla fede e di coscienza di ciò che la chiesa è e di qual è il suo compito».

Che cosa vuol dire?

«Che noi non siamo diventati potenti economicamente perché eravamo dei bravi amministratori, ma perché la nostra forza era la capacità di comunicare il Vangelo. La comunità sentiva la chiesa come parte di sé e le strutture non erano del parroco, ma della gente. Io non devo convincere le persone a essere generose, devo spiegare loro perché siamo chiamati ad aiutare gli altri».

Come e quando interviene la Curia (...)

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