Crisi di identità

Pare incredibile, ma in Bergamasca non si trovano muratori. È il tramonto di un'epoca

C'è il boom edilizio, eppure manca la manodopera. La crisi ha dimezzato aziende e addetti e i giovani scelgono altri lavori

Pare incredibile, ma in Bergamasca non si trovano muratori. È il tramonto di un'epoca
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di Wainer Preda

Sorpresa. La città assurta al “mito” per i suoi muratori, rischia di restare senza muratori. Manca la manodopera qualificata nel settore edile a Bergamo. La notizia, diffusa dall’Istat e confermata dall’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) locale, è clamorosa. Sì perché fin dagli Anni Sessanta i migliori capomastri, i più abili ed esperti, capaci con le loro squadre di erigere capolavori di pietra, sono targati Bergamo. Nell'immaginario collettivo il bergamasco è il “muratore per eccellenza”. La tv ne ha fatto parodia. Noi, epopea. Siamo gli unici al mondo ad aver persino inventato una gara ad hoc: la “Magut Race”. Sacco di cemento in spalla e salita vertiginosa. Mai vista una gara d’impiegati a Milano.

Per tutti, Bergamo è la città della Mura. E dei muri. Per averne un’idea, basta un’occhiata alla fila di furgoni che fin dalle prime ore del mattino entra in A4, direzione cantieri di Milano. Oggi però qualcosa è cambiato. E sebbene intorno sia tutto un fiorir di gru, le difficoltà cominciano a farsi sentire. Secondo l’Istat l’8 per cento delle imprese edili fatica a trovare personale qualificato. Era il 5,5 fino a qualche anno fa. E la tendenza è confermata anche da noi.

Sono 2500 le imprese edili in Bergamasca. Di queste, circa 850 sono di tipo industriale, in prevalenza di medie dimensioni. Si riconoscono in Cassa Edile e Ance Bergamo. Le restanti 1600 circa sono più piccole, 3-5 dipendenti, e di tipo artigianale, iscritte a Edilcassa. Per le imprese della nostra provincia lavorano circa 14mila addetti, la metà nelle aziende più grosse. Un numero notevole, anche se ridotto rispetto al passato. «La crisi del 2008 ha falcidiato le imprese di costruzioni, riducendole a metà - spiega il segretario provinciale della Fillea Cgil di Bergamo Luciana Fratus -. Sono dimezzati anche gli addetti: a quell’epoca avevamo 25mila lavoratori iscritti alle casse edili».

L'impresario Ezio Mangili con la sua squadra al lavoro in un cantiere della città

Il peggio però è alle spalle. Oggi il settore è in netta ripresa. Gli investimenti in costruzioni, segnala l’Ance nel suo rapporto di luglio, sono cresciuti dal 16,6 per cento rispetto al trimestre precedente. E le previsioni per il prossimo dicono ancora positivo: + 8,6 per cento. Il mattone torna a tirare, sia nel pubblico sia nel privato. Grazie anche al superbonus del 110 per cento che nel luglio scorso contava 24.500 interventi, per 3,4 miliardi di euro. Manco a dirlo, la regione che vede il maggior numero di cantieri aperti è la Lombardia. Quasi 3300 quelli segnalati. Mentre il mercato immobiliare residenziale è in aumento di quasi il 40 per cento.

Tutti segnali di un settore tornato in buona salute. I posti di lavoro disponibili in edilizia sono moltissimi. Il paradosso, però, è che manca il personale. Per il prossimo anno, a livello nazionale, servirebbero 265mila addetti, dice sempre Ance. Ma trovarli sarà un’impresa. Anche nella celeberrima Bergamo. Già a giugno le aziende iscritte alla Cassa Edile segnalavano il bisogno di oltre 500 lavoratori da inserire nei loro organici. Servono soprattutto giovani, nuove forze e nuove leve. Perché l’età media dei muratori bergamaschi avanza inesorabilmente. E perché il settore è molto cambiato. Si è evoluto. A suon di digitalizzazione, sostenibilità, materiali innovativi.

Nei cantieri ci sono gru comandate da sofisticati software. Si utilizzano materiali performanti e nuovi macchinari. C’è tanta tecnologia. Anche se resta pur sempre un settore manuale, in cui i bergamaschi erano considerati alla stregua di “artisti”. Per la loro competenza. Per la capacità di posare i materiali al millimetro. Per esperienza e cura per le cose ben fatte. Talvolta persino per il loro genio. Tutte caratteristiche che tramandavano al nuovo arrivato di turno. Il mestiere che passa come di padre in “figlio”.

Solo che negli ultimi due decenni i nuovi arrivati parlano soprattutto straniero. Sono il 30 per cento della forza lavoro. Lavoratori che provengono dall’Albania, dalla Macedonia, dalla Romania. Che spesso hanno appreso la professione, messo su famiglia e magari una loro impresa in Bergamasca e sono restati. Una parte di loro è tornata nei paesi d’origine. Un po' perché da noi la vita è più cara. E un po' perché anche quelle zone sono in ripresa e hanno lavoro disponibile.

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