La triste storia di Nicole ci insegna che nel Jobs Act c'è del buono
Si è levato un costante e rumoroso cicaleccio fin dagli albori del Governo Renzi, quando si parlava dell’anglo-italianissimo Jobs Act. Alcuni avvocati giuslavoristi erano inviperiti, non li vedevo così innervositi e confusi dalla Riforma Fornero. Quello che pochi sanno è che il Jobs Act introduce l'istituto delle "ferie solidali" (all'art. 24 del D.Lgs 151/2015 emanato in attuazione delle legge delega, rubricato "Cessione dei riposi e delle ferie", per gli amici giuslavoristi, ma anche per gli altri), a mente del quale «i lavoratori possono cedere a titolo gratuito i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, al fine di consentire a questi ultimi di assistere i figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti, nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro.»
La norma imita la francese “legge Mathys”, così denominata per omaggiare il piccolo Mathys Germain, un bambino di 10 anni, malato di tumore e morto il 31 dicembre del 2009. I colleghi del papà, che aveva già esaurito tutte le ferie e i permessi per prendersi cura del piccolo, gli regalarono i loro giorni di riposo arretrati, donandogli ulteriore tempo da passare con il suo bambino. E noi italiani, forse in tema di redazione di un testo legislativo sì, ma in materia di solidarietà non prendiamo sicuramente lezioni dai cugini d’Oltralpe.
Alla fine nel 2016, a Marostica (Vicenza) accadeva una storia simile, un storia che può strappare una lacrima anche al più navigato dei giuslavoristi. La piccola Nicole combatte dalla nascita con un nemica implacabile, la tetrapresi spastica, ed è costretta a vivere attaccata ad una macchina che le permette di respirare. La giovane mamma Michela combatte ogni giorno insieme a lei e, per farlo, esaurisce tutto il periodo di congedo previsto per legge. E così (sarà il Natale, sarà il Jobs Act, ma, soprattutto, sarà che noi italiani alla fine non siamo così male come ci disegnano i francesi) i colleghi di Michela, dipendenti di un’azienda del vicentino, la Brenta Pcm, decidono di regalare i propri giorni di ferie a lei e a Nicole. In poco tempo vengono accumulati, dai lavoratori di tutti i reparti dell’azienda, dieci mesi di ferie per Michela e la possibilità di dieci mesi con la mamma per Nicole. Un collega, travestito da Babbo Natale, fa anche visita alla piccola in ospedale e la fa ridere, ridere, ridere.
Un dono di Natale che non si può impacchettare, che non ha un prezzo che si può coprire con un adesivo ma dice qualcosa (forse tutto) su questo mistero chiamato tempo, che non si può comprare, ma si può solo vendere e, in questo caso, regalare. Questa favola di Natale finisce due giorni dopo, quando Nicole muore il giorno della vigilia, e ci insegna «che la vita è bella - spiega mamma Michela -. Nonostante le difficoltà, il dolore, le cattiverie, la vita è bella». E che possiamo trovare del buono perfino nel Jobs Act.