Primario al Papa Giovanni

L'infettivologo Marco Rizzi: «Il virus si sta comportando bene (noi forse un po’ meno)»

«Dopo la ripartenza non si sono verificati segni di ripresa dell’infezione, possiamo andare al mare tranquilli (se le altre regioni ci accettano)» «Pochissimi i casi a maggio: gli ospedali si sono svuotati e abbiamo messo a punto una cura». «Il test sierologico? Non mi pare determinante»

L'infettivologo Marco Rizzi: «Il virus si sta comportando bene (noi forse un po’ meno)»
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di Paolo Aresi

«Il virus si sta comportando bene. Noi magari non tanto bene, ma il virus appare tranquillo. Questo mi autorizza a essere ottimista per i prossimi mesi. Quando l’autunno andrà verso l’inverno, vedremo che cosa succederà, un po’ come per i virus influenzali che possono tornare, magari leggermente mutati».

Ma l’estate dovrebbe passare tranquillamente, sostiene Marco Rizzi, direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Papa Giovanni. Rizzi ha passato tutta la vita a tu per tu con virus e batteri, cercando di debellare infezioni, di contenere l’infettività delle malattie. Ma un’esperienza come questa del Covid-19 non l’aveva mai vissuta.

Dottore, è stato tanto pane per i suoi denti.

«Sì, per uno che fa questo mestiere, dopo quarant'anni di lavoro, è stata certamente un’esperienza molto forte, unica. Terribile. Ma sicuramente ci ha messi alla prova, ci ha dato la possibilità di capire, di cambiare, di adattarci, di individuare comportamenti e cure adatte. Una grande prova, sì. Purtroppo con troppe vittime».

Nel corso dell’epidemia avete elaborato nuove cure.

«Noi infettivologi ci siamo trovati a fare da collante rispetto a tutti i medici e infermieri che provenivano dalle specialità più diverse. Abbiamo cercato di capire che cosa stesse davvero succedendo, che cosa il virus provocava negli organi delle persone. Le linee guida che ci erano arrivate dalla Cina erano troppo vaghe. Abbiamo cominciato a capire che un certo tipo di farmaci antinfiammatori era molto utile, come la semplice Tachipirina, abbiamo compreso che era importante tenere a bada, prima di tutto, l’infiammazione. Abbiamo introdotto l’eparina, il cortisone... Ci siamo resi conto che erano i minuscoli trombi, coaguli, a danneggiare gravemente i polmoni e il microcircolo sanguigno».

Adesso le cose vanno meglio.

«Molto, molto meglio. Prima di tutto abbiamo messo a punto una capacità di cura che all’inizio non esisteva e poi gli ospedali si sono svuotati, possiamo lavorare con tranquillità».

La riapertura?

«Finora in Bergamasca, dopo la ripartenza della vita “normale”, non si sono verificati segni di ripresa dell’infezione. Attualmente arriva qualcuno che si è trascinato magari il Covid per qualche settimana, oppure persone che hanno anche altre malattie importanti. Ma nel mese di maggio abbiamo accertato davvero pochissimi casi».

Sembra che il Coronavirus in questione abbia perso la sua aggressività.

«È così, sì. È lo stesso fenomeno che in un passato abbastanza recente ha riguardato altri coronavirus preoccupanti, come quello della Sars».

Sono state le misure di contenimento a bloccare il virus?

«Certamente hanno aiutato perché con il distanziamento, l’infezione non ha potuto propagarsi, è rimasta limitata, il virus ha fatto vittime, oppure è stato combattuto e debellato nell’organismo di chi se l’è cavata. Non ha potuto più galoppare da un individuo all’altro. Quindi certamente il contenimento, il comportato corretto della gente ha aiutato tantissimo a limitare, ma probabilmente anche a indebolire il virus».

A marzo abbiamo temuto l’ecatombe.

«E ci siamo entrati nell’ecatombe. A metà marzo non avevamo più posti, né risorse. Le terapie intensive e i reparti erano al collasso, l’ospedale è diventato in gran parte un ospedale solo per Covid-19, abbiamo avuto traumatologi, chirurghi, otorini che si sono trasformati in medici internisti e infettivologi... davvero tutti hanno dato prova di grande volontà e capacità, a cominciare dal mio reparto, il primo coinvolto. In tutto siamo circa settanta persone, di cui ventuno medici».

Come ne siamo usciti?

«Ne siamo usciti, prima di tutto, dopo avere pagato un prezzo pesante, e lo sappiamo tutti. All’inizio non sapevamo bene come affrontare l’emergenza, le notizie in nostro possesso erano frammentarie. Il fatto è che avevamo avvisaglie che il temporale si stava addensando anche da noi e ci stavamo preparando, ma non sapevamo bene quando sarebbe scoppiato. E, soprattutto, non sapevamo quale sarebbe stata l’intensità della tempesta. Devo dire che ha superato le previsioni».

L'intervista completa a 4 del PrimaBergamo in edicola fino al 4 giugno, oppure QUI

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