Marchio storico

Balzer aprirà a Milano e all'aeroporto di Orio. L'obiettivo poi è volare in tutta Europa

Intervista a Patrizio Locatelli dopo che ha rilanciato il famoso locale sul Sentierone e inaugurato la nuova caffetteria al Gewiss Stadium

Balzer aprirà a Milano e all'aeroporto di Orio. L'obiettivo poi è volare in tutta Europa
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di Wainer Preda

Quando parla, quasi sussurra. Ma capisci che dietro a ogni frase c’è un ragionamento preciso e ponderato. Frutto di esperienze plurime, nei settori più disparati. Bergamasco, 64 anni, Patrizio Locatelli è capace di prendere il meglio da ogni situazione. È lui l’imprenditore che ha rilanciato il Balzer.

Locatelli, cominciamo dall’inizio. Da dove è partita l’idea di acquisire lo storico locale del centro di Bergamo?

«È una tappa di un percorso. Io nasco come ingegnere elettronico e gestionale. Per anni ho lavorato all’Ibm e nell’outsearching informatico. Sui sistemi. Da lì ho imparato moltissimo. Contemporaneamente ho sempre coltivato la passione per i vini e l’apprezzamento per i prodotti di qualità. Io e la mia compagna, che fa la commercialista, avevamo preso casa in Città Alta. Abbiamo dato vita a una società, la S-Link srl, e nel 2012 abbiamo aperto l’enoteca “La fontana di Sant’Agata”, recuperando quel luogo storico e meraviglioso di Bergamo Alta. Questo spazio mi ha dato il divertimento di trasformare la passione in qualcosa di diverso. Nel contempo, grazie a una consulenza strategica a un gruppo molto importante, abbiamo studiato a fondo il mercato e le dinamiche di business».

Poi che cosa è accaduto?

«Quella stessa estate il direttore generale ci ha chiesto: “Ma perché non portate la Fontana anche in aeroporto?”. Siamo andati a gara e l’abbiamo vinta con un progetto molto interessante, seguendo il nostro fil-rouge, ovvero lavorando sulla bontà dei prodotti del territorio, fino a inscenare la rappresentazione della degustazione. In fondo, i prodotti, il vino e il cibo sono un modo di comunicare. Attraverso la fotografia, abbiamo ambientato lo spazio, come se fosse Città Alta in aeroporto. Ed è ancora lì: 39 metri quadri che hanno una resa altissima. Ci siamo resi conti di aver creato un piccolo fenomeno. Di esserne stati capaci. Tanto che nel 2014 sono stato presente nell’iniziativa che ha dato vita all’estate in Sant’Agostino che ancora oggi è una manifestazione bellissima e seguitissima. L’anno dopo c’è stato Astino e l’Expo con il tema del food. È stata la consacrazione di un lavoro. Nel contempo abbiamo popolato lo spazio in aeroporto, con il Consorzio del Franciacorta sponsor di Sparkle and Wine, inserendo il Parmigiano Reggiano e facendo partire quell’ala con buoni risultati. Il che ci ha fatto crescere notevolmente come azienda. Fontana di Sant’Agata è stato il nostro motore finanziario che ci ha consentito di fare passi ulteriori».

E siamo al 2017. Balzer.

«Quasi casualmente. Lì un agente immobiliare mio conoscente mi ha detto che un suo cliente voleva vendere il palazzo. Fra le altre cose c’era anche il Balzer».

E com’era?

«Molto malmesso. La pasticceria non c’era più. Forni spenti. Croissanteria comprata all’esterno. Praticamente l’anima del Balzer era scomparsa. La sala di ristorazione al primo piano, ceduta e lo spazio restituito all’Immobiliare della Fiera per risparmiare sull’affitto. Abbiamo trovato un cadavere. Abbiamo fatto un’offerta e l’abbiamo preso, per un omaggio alla città. Ma anche perché sono convinto della longevità di un marchio che nasce nel 1850, che ha una meravigliosa fonetica mitteleuropea, e una storia economica e sociale che ci lega a quegli ambienti. Questo dice la lettura storiografica di questa realtà».

Un nome di grande fascino...

«Esatto. Quando penso a Cova, alla Pasticceria Marchesi, a Sant’Ambroeus, che differenza hanno con Balzer? Mi interessava ridare smalto a questo marchio storico. L’abbiamo acquisito a febbraio del 2018 e riaperto il 27 di marzo, ritinteggiandolo perché sembrava l’ospedale. L’abbiamo rimesso in pista, mettendo le risorse per rilanciarlo. Abbiamo preso il compianto chef stellato Vittorio Fusari. E cercato di essere all’altezza delle aspettative, notevoli, dei bergamaschi».

Da lì è cominciato il rilancio di Balzer.

«Abbiamo lavorato moltissimo. Rimesso in pista e raddoppiato i pasticceri, come si deve. La croissanteria è di alta qualità. E siamo andati a riposizionarci sulla nostra utenza principale che ha capacità di spesa e di consumo».

Poi è arrivata la pandemia…

«Devo dire che, per certi versi, nella negatività della pandemia siamo riusciti a trarre qualcosa di positivo. Innanzitutto la necessità di stare all’aperto. Noi abbiamo la fortuna di aver davanti la piazzetta Piave che abbiamo allestito con due dita di testa, puntando sull’intrattenimento e i giovani. Abbiamo impiegato i mesi di lockdown per rifare il locale con colori nuovi, blu notte e canna di zucchero, rifatto il logo con la parte decorativa storica, studiato dallo stesso produttore dell’insegna. Con uno stile un po' più moderno, Anni Venti, Art deco americana».

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Balzer Stadium, invece, come nasce?

«Noi lavoravamo già con Atalanta. Abbiamo fatto il catering per i ground box e gli sky box. Quando c’è stata la possibilità, abbiamo valutato di portare il nostro marchio anche qui. Una scelta di vicinanza, essendo bergamaschi. E di visione: anche per noi lo stadio non deve essere solo il calcio, ma fruibile anche nel resto della settimana. Uno spazio collettivo d’intrattenimento. Come mostrano i modelli anglosassoni».

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