Le cinque giovani stelle emergenti dell'enogastronomia bergamasca
I più curiosi, quelli a cui piace andare a mangiare fuori, gli appassionati di ristorazione, sono quelli che se ne sono accorti prima: Bergamo e la sua provincia sono in pieno fermento gastronomico. Attraversata da una fresca linfa vitale che sta definendo nuovi contorni e linee di confine nella cultura culinaria orobica. Un fenomeno, se così possiamo chiamarlo, iniziato circa due anni fa e che ora si sta concretizzando con un numero sempre più importante di nuove aperture, guidate da una nuova generazione di cuochi che, dopo aver raccolto il giusto bagaglio di esperienza, decide di tentare il salto e mettersi dietro ai fornelli, motivata a raccontare quello che ha imparato nelle fatiche intorno al mondo. Sono l’equivalente di quella che si chiama generazione Erasmus. Di quella generazione, cioè, tra i 25 e 35 anni che si è spinta oltre la soglia di casa per curiosare, imparare, rubare il mestiere, fino a decidersi che era il momento di rincasare per fare sentire la propria voce. È una sorta di rottura con il passato, un ricambio generazionale che a Bergamo, nella ristorazione, ha preso un passo spedito e soprattutto ha portato originalità, creatività e inediti modi di intendere la cucina. Pensate solo alla trasformazione della tavola, che diventa materica, che abbandona le tovaglie e le apparecchiature ridondanti, oppure pensate ai menù, completamente trasformati, che danno per scontata la stagionalità. Sono ridotti all’osso, essenzializzati e in continua evoluzione, settimanalmente, quotidianamente. Abbiamo raccolto otto profili di cuochi (anzi dieci, perché c’è un trio) che rappresentano il futuro. Profili da provare e da tenere sott’occhio perché hanno tutti, a loro modo, nel loro ambito, una piccola rivoluzione da portare avanti.
Tommaso Spagnolo - NOI
Il primo in assoluto. È stato in un certo senso lo spartiacque tra la vecchia e la nuova generazione di cuochi che oggi, mese dopo mese, sta diventando sempre più popolosa. Tommaso Spagnolo, 1987, ha frequentato il liceo e la folgorazione è arrivata quando, per caso, invece del solito lavoro estivo da cameriere, finisce nella cucina di Frosio. Una folgorazione che gli ha cambiato la vita. Passa dalla Cantalupa e per la cucina de Il Saraceno, prima di finire da Valeria Piccini, che annovera come maestra. Poi c’è la leggendaria esperienza come cuoco privato per la principessa di Grecia a Londra, fatta di cene con Uma Thurman e consoli. Poi un anno al Dinner di Blumenthal e finalmente, apice della sua esperienza e formazione, il lavoro all’Eleven Madison Park di New York. Oggi il miglior ristorante del mondo. A quell’esperienza non deve solo il lato tecnico e organizzativo ma anche quello umano, tanto da farne il suo secondo punto di riferimento. Lontano dai compromessi, affronta lo sforzo quotidiano di confrontarsi, al NOI, con una cucina personale (e con clienti attenti) sfidando costantemente se stesso. Una cucina autoritaria e cartesiana.
Filippo Cammarata
Un siciliano nato a Bergamo, si definisce. Nel 1983. È cresciuto anche, nel capoluogo orobico, con il quale condivide un legame affettivo e lavorativo importante. Dopo la formazione alberghiera, si mette ai fornelli del ristorante di Cece e Simo come stagista per diventarne poi, passo dopo passo, lo chef. Fondamentale per la sua formazione sono state le esperienze da Niko Romito, al Casadonna Reale, e da Massimo Bottura all’Osteria Francescana. Autore profondamente riflessivo e decisamente tecnico nell’esecuzione, ha il grande pregio di riuscire a mascherare un lungo e complesso ragionatamente culinario dentro un piatto estremamente convincente e dall’assaggio immediatamente piacevole. Ma non è solo sulle spalle dei giganti della cucina che Filippo è salito per guardare più lontano; i riferimenti culturali sono molteplici. Come non trovare, nelle scomposte geometrie, nei pointillisme e nell’originale distribuzione dello spazio un richiamo alle regole ferree della Bauhaus che hanno fatto in parte il nostro senso estetico moderno? Un solista che ha appena cominciato a schiarirsi la voce.
Cinzia Eliana Mismetti, Jonathan Signorelli e William Bertocchi - Nasturzio
Mettere insieme tre teste in una cucina non è cosa facile ma i ragazzi di Nasturzio ci sono riusciti, merito dell’amicizia che li lega da una vita e di un viaggio in Sudamerica. Jonathan Signorelli, 1988, fomr atosi all'alberghiero di Nembro e finito a 21 anni in un ristorante italiano a Londra, per poi andare a Modena, in Spagna, e poi ancora a Londra da Gordon Ramsey e Robuchon. E anche a San Francisco, al Quince. Per ora è ai secondi. William Bertocchi, 1988, passato direttamente nelle cucine di Da Vittorio, un anno e mezzo a 20 anni. Dopo una stagione invernale in Trentino è a Londra e poi a Parigi per due anni. Oggi in pasticceria. Cinzia Eliana Mismetti, 1988, due stagioni in Liguria e qualche esperienza nella Bergamasca fino ad arrivare a Londra, dove per la prima volta il team si è riunito nella stessa cucina. Oggi si occupa dei primi. Uno dei ristoranti più chiacchierati tra i bergamaschi che non si sono lasciati intimidire dalla posizione riservata ad Albino. Forse la proposta più concettualmente raffinata tra le nuove aperture, partita in punta di piedi ma che ha alzato in breve tempo l’asticella. Ed è solo l’inizio.
Cristian Fagone - Impronte
«Nato e cresciuto a Bergamo, con origini siciliane da parte di papà, gastronomicamente mi porto dietro questa mediterraneità». Estrema sintesi autobiografica di Cristian Fagone, uno dei più talentuosi, tra i nuovi arrivati. La passione per la cucina arriva dalla mamma, in verità, dalla quale capisce la sua vocazione. Il diploma da geometra è servito poco perché con caparbietà ha bussato alla porta di Giancarlo Morelli. Senza avere mai fatto niente. Poi finisce da Philippe Léveillé, guidato dalla stima per la cucina francese. Arrivando poi al Master della Cucina Italiana organizzata dagli Alajmo al termine del quale si è fermato proprio alle Calandre. Un percorso pensato per trovare i proprio mezzi di espressione. E dopo una prima attività stagionale in Toscana torna a Bergamo per inaugurare Impronte. Solo otto mesi di apertura per un ristorante con una cucina che risulta, straordinariamente, già integrata nel tessuto ristorativo della città, che offre un punto di riferimento già assicurato. Materia, tanta materia, trasformata, rielaborata, rispettata e combinata, con meravigliosa organicità e sinestesia.
Alex Manzoni - Casual
È vero, Alex Manzoni, 1991, lavora all’interno di un contesto già strutturato, ma sbagliereste molto nel credere che questo lo renda meno audace degli altri, perché è proprio grazie a questa attitudine che è potuto diventare Chef Executive per Enrico Bartolini al Ristorante Casual di Città Alta. Dopo gli studi all’alberghiero di San Pellegrino ha fatto le sue prime esperienze al ristorante Collina di Mario Cornali e poi a La Brughiera. La svolta arriva con la possibilità di lavorare da Bottura poi da Lorenzo Cogo, al Mugaritz, e infine a la Tana Gourmet ad Asiago. Capelli rossi e occhi azzurri, portamento elegante ed eloquio composto: esattamente quello che si trova nei suoi piatti, oltre a una straordinaria visione combinatoria. Qui si fa sul serio, è un labor limae quotidiano. Manzoni ragiona e pensa come se si stesse dedicando a un origami, dove le pieghe non possono che essere sottili e i lembi devono sempre combaciare, altrimenti tutti se ne accorgono. È un gioco raffinato e davvero difficile, che non sempre riesce, è naturale, ma se tutto collima il risultato è memorabile. Un esempio: il risotto all’anice.