L'intervista

Ritratto del nuovo cardinale Pierbattista Pizzaballa, un bergamasco di Gerusalemme

Don Tino Scotti spiega la decisione: «Il Papa lo ha scelto perché rappresenta un ponte fra il mondo occidentale e quello orientale»

Ritratto del nuovo cardinale Pierbattista Pizzaballa, un bergamasco di Gerusalemme
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di Ettore Ongis

Domenica 9 luglio all’Angelus Papa Francesco ha annunciato i nomi dei ventuno nuovi cardinali che verranno eletti il 30 settembre. Fra di loro c’è un francescano bergamasco, Pierbattista Pizzaballa, dall’ottobre 2020 patriarca latino di Gerusalemme.

Pizzaballa ha 58 anni ed è nato a Cologno, dove vive la mamma Maria Maddalena, alla quale è legatissimo. Negli ultimi anni è tornato spesso al suo paese e in Duomo a Bergamo è stato ordinato vescovo nell’ottobre 2016. Ma gran parte della sua vita l’ha trascorsa a Gerusalemme, dove è stato per più mandati Custode di Terra Santa.

«Il Papa lo stima tantissimo», dice monsignor Tino Scotti, sacerdote della nostra Diocesi che per 31 anni ha lavorato nella Segreteria di Stato vaticana. La stanza di “don Tino” a Santa Marta era proprio sopra l’appartamento di Papa Francesco e in tanti ricordano che negli anni del Covid don Tino era il sacerdote che ogni mattina alle 7 concelebrava in mondovisione nella cappella papale con il pontefice.

Da alcuni mesi monsignor Scotti è rientrato a Bergamo e ha accettato di spiegarci che cosa significa oggi diventare cardinale e la visione di Chiesa che c’è dietro alle scelte di Papa Francesco.

Don Tino, lei conosce Pizzaballa?

«Pierbattista (lo chiama così, per nome, ndr) è un’ottima persona. Non è un tipo brillante, uno che cerca l’applauso, ma è un uomo fine e rispettoso, un intellettuale che possiede una grande esperienza del mondo mediorientale. Soprattutto di quello ebreo. In Israele e in Palestina è molto apprezzato perché è stato sempre all’altezza, sia come Custode sia come Patriarca. In Vaticano si ricorda ancora il pomeriggio in cui organizzò il gesto di preghiera con il presidente di Israele e con Abu Mazen. Averlo fatto cardinale non è un premio, è un riconoscimento di quello che lui è: un punto di riferimento per tutta la chiesa orientale».

Ma cosa comporta per Pizzaballa essere diventato cardinale?

«Innanzitutto il fatto che diventa un consigliere stretto del Papa. Il secondo luogo, il riconoscimento del suo ruolo internazionale: la chiesa cattolica dialoga col mondo orientale e con le confessioni cristiane dell’Oriente attraverso di lui. Infine, davanti al mondo arabo e israeliano diventa una figura sempre più importante. A livello personale si tratta di un impegno notevole perché dovrà andare spesso a Roma, entrerà di diritto a far parte di tanti organismi vaticani».

Lei di cardinali ne avrà conosciuti tantissimi...

«Non rida, ma tra gli altri compiti che avevo in Vaticano c’era anche quello di “accompagnare alla morte i cardinali”. Seguivo i loro funerali, mi occupavo dei testamenti. In un certo senso, ho visto i cardinali alla fine, quando si capisce tutto. Quante sante persone! Noi abbiamo un’immagine del cardinale legata a figure cinquecentesche, quello seduto a capotavola che mangia le aragoste. Non è così».

E com’è invece?

«Il cardinale è un prete che ha una responsabilità grandissima e a volte è anche un manager. Il Segretario di Stato, ad esempio, ha sotto di lui trecento persone. La stragrande maggioranza (...)

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