Le proposte dei sindaci lombardi del centrosinistra per la riforma della sanità regionale
Domani (10 novembre) al via il dibattito in Consiglio regionale: già presentati circa 2 mila emendamenti, oltre 4 mila gli ordini del giorno
La maratona di dibattiti vera e propria inizierà formalmente domani, mercoledì 10 novembre, quando in Consiglio regionale verrà esaminato il progetto di legge di riforma della sanità lombarda. Sono circa duemila gli emendamenti già presentati e oltre quattromila gli ordini del giorno che passeranno al vaglio dell’aula, una mole di lavoro per cui sono già state previste sedute ogni giorno (esclusi il sabato e la domenica) fino al 26 novembre, senza alcuno scrutinio segreto durante le votazioni.
Già oggi però si è iniziato a discutere della riforma, che si pone come obiettivo quello di modificare la Legge 23 approvata quando alla guida del Pirellone sedeva Roberto Maroni.
Facile che i toni del dibattito si accendano rapidamente, anche perché oggi i capigruppo dell’opposizione, durante una conferenza stampa unitaria, hanno annunciato l’intenzione di opporsi al disegno della maggioranza. Tra le voci da sempre critiche verso il governo leghista anche il consigliere regionale bergamasco di Azione Niccolò Carretta, il quale teme che la riforma sia sostanzialmente già blindata. «Di fatto - ha commentato sui social -, la strategia è quella del "cambiare tutto per non cambiare niente", tante dichiarazioni, tanto movimento e tanto "finto" entusiasmo che nascondono, al netto dalle richieste dell'Ue e del Governo, una non-riforma».
Ma i cambiamenti che interesseranno la sanità lombarda sono stati anche al centro di un’altra conferenza stampa, convocata in mattinata a Palazzo Marino, cui hanno partecipato i sindaci del centrosinistra dei capoluoghi della Lombardia, tra cui il bergamasco Giorgio Gori (gli altri erano il meneghino Beppe Sala, il bresciano Emilio Del Bono, il primo cittadino di Varese Davide Galimberti, quello di Lecco Mauro Gattinoni e quello di Cremona Gianluca Galimberti). Tra i temi toccati quello delle case e degli ospedali di comunità, dell’accesso ai pronto soccorso, degli investimenti necessari alle assunzioni di nuovo personale e quelli dedicati alla telemedicina e, infine, il problema rappresentato dalle liste d’attesa.
Le case e gli ospedali di comunità
In Lombardia esistono ospedali d’eccellenza, ma mancano i medici di base. Per questa ragione, secondo il parere dei sindaci intervenuti a Milano, le case e gli ospedali di comunità devono essere collocati in quei luoghi dove le carenze della medicina territoriale si fanno sentire maggiormente. «Abbiamo strutture specialistiche di assoluta eccellenza – osservano -, ora dobbiamo avere anche cure primarie e sistema di prevenzione di uguale livello».
La Regione, grazie ai finanziamenti dell’Europa e del Governo, dovrebbe puntare a realizzare una rete di servizi in grado di rispondere ai bisogni delle realtà territoriali. Quindi, non una semplice operazione di edilizia sanitaria.
È necessario pianificare nel dettaglio quali siano i contenuti, le funzioni e le relazioni che avranno le case di comunità che «devono essere porte di accesso per i cittadini con problemi non gravi dalle 8 alle 20 di sera – commentano i primi cittadini -, così da non sovraccaricare i pronto soccorso e devono essere luoghi in cui si costruisce in modo concreto la presa in carico socio-sanitaria dei cittadini».
Allo stesso tempo, visto che oggi i medici dei pronto soccorso curano nel 70% dei casi pazienti non gravi, è necessaria una riorganizzazione ospedaliera complessiva, oltre a nuove assunzioni.
Investimenti sulle assunzioni e sulla telemedicina
Per i sindaci del centrosinistra è fondamentale anche investire con forza sul personale. «Occorre cambiare ancora più radicalmente le condizioni di accesso alla professione – dicono -, aumentando i posti d’ingresso nelle facoltà di medicina generale e specialistica. Le ultime decisioni vanno nella giusta direzione, ma occorrono scelte ancora più forti».
Nel 2025 la Lombardia rischia infatti di avere un buco di circa 2 mila camici bianchi: medici di medicina generale (per cui occorre una specifica programmazione e incentivazione), pediatri, rianimatori, medici di emergenza e urgenza e psichiatri. «Governo e Regione devono assolutamente intervenire anche sulle condizioni contrattuali – aggiungono - in grado di garantire impegno e motivazione degli operatori stessi, altrimenti la sanità sarà più debole di prima».
Il futuro della cura e della presa in carico dei malati passa poi dagli investimenti pluriennali e su ampia scala riguardanti la telemedicina e la domiciliarità, oltre che da una maggiore integrazione dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali.
Il problema delle liste d’attesa
Al giorno d’oggi per prenotare un esame o una visita nelle strutture pubbliche e in quelle private accreditate un paziente deve passare le ore attaccato al telefono. E comunque i tempi di attesa sono estremamente lunghi. Quindi, chi se lo può permettere, sceglie spesso di rivolgersi ai privati a pagamento. «Regione deve intervenire sul sistema di prenotazione – evidenziano i sindaci -. Va affrontato di petto il tema delle liste di attesa, anche attraverso una riorganizzazione complessiva».
Così come presentata dalla Regione, infine, la riforma propone un rapporto tra istituzioni sanitarie, ossia le Asst e le Ats, decisamente confuso, anche rispetto a un eventuale coinvolgimento delle amministrazioni.
«Se il governo del sistema non è chiaro – concludono i primi cittadini -, la riforma rischia di essere inefficace. Altrettanto chiare devono essere le modalità di coinvolgimento e di condivisione con gli enti locali a tutti i livelli della programmazione e del funzionamento del sistema, con particolare riferimento all’integrazione socio-sanitaria. Infine l’equiparazione tra l’offerta pubblica e quella privata, introdotta come principio, è anche condivisibile, ma richiede una forte capacità di programmazione dell’offerta e deve essere calibrata sulle specificità dei soggetti considerati».