I 5 quesiti sulla giustizia

La battaglia quasi solitaria di Calderoli (in stile Pannella) per dire sì ai referendum

Ha fatto uno sciopero della fame contro la "congiura del silenzio": «Oggi la magistratura è diventata il potere»

La battaglia quasi solitaria di Calderoli (in stile Pannella) per dire sì ai referendum
Pubblicato:

di Wainer Preda

Calderoli come Pannella, chi l’avrebbe mai detto? Eppure in politica ci sono battaglie che implicano il sacrificio in prima persona. Il senatore bergamasco della Lega, come una volta il leader dei Radicali, ha cominciato uno sciopero della fame. Obiettivo: attirare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sui referendum sulla giustizia. Quelli su cui gli italiani sono chiamati a esprimersi domenica, 12 giugno.

Senatore, innanzitutto come sta?

«Tutto sommato bene. Ho perso diversi chili. Vado avanti bevendo solo due caffè al giorno e l’acqua. Continuerò lo sciopero della fame fino a domenica».

Perché si parla poco dei referendum?

«Perché danno fastidio. E allora, non basta votare “no”. La tattica è diventata addirittura quella di non far votare la gente. Se tu spingi la gente a non votare, è più facile raggiungere il 51 per cento di non voto, che porta al fallimento del referendum».

Chi sta remando contro?

«La parte politicizzata dalla magistratura, che si esprime nelle correnti, vede riforme e referendum come fumo negli occhi. È arrivata al punto di fare uno sciopero contro la riforma, che poi è fallito. Ovviamente è ben supportata da forze parlamentari, da singoli che fanno di tutto perché le riforme in parlamento non si facciano mai, soprattutto quando riguardano la giustizia. E che anche sui referendum non dicono chiaro e tondo “andate al mare”, ma sostanzialmente la posizione è quella».

Se il referendum fallisce, sarà più difficile riformare la giustizia?

«Credo che gli italiani sentano il diritto e il dovere di andare a votare. Sarà importante, al di là del quorum, vedere anche la percentuale dei “sì” e quella dei “no”. Quello darà un indirizzo. Io sono sicuro che la maggior parte dei voti espressi saranno a favore».

Chi ha l’interesse politico a far fallire il referendum?

«Ci sono partiti che sembrano espressione delle correnti della magistratura. I grillini, la sinistra che ha sempre allevato i magistrati e con loro ha una contiguità totale. In più c’è un parlamento pavido. Ha sempre paura che quando tocchi la magistratura, qualcuno possa rovinargli la vita».

Trova che il sistema istituzionale italiano sia sbilanciato?

«Assolutamente sì. Con i referendum affrontiamo il problema della gestione della giustizia, affidata alla magistratura. Ma il nocciolo della questione è a monte. Montesquieu, parlando dell’equilibrio fra poteri dello Stato, considerava la magistratura un non potere. I veri poteri per lui erano l’esecutivo e il legislativo. Ebbene, oggi la magistratura è diventata il potere».

Come si spiega?

«Grazie a una sorta d’infiltrazione in tutti i gangli vitali dello Stato. Alla Presidenza della Repubblica, come consiglieri, consulenti e collaboratori ci sono magistrati. A Palazzo Chigi, dove si scrivono i decreti legge e le leggi di iniziativa del governo, l’organo amministrativo è fatto in gran parte dai magistrati amministrativi o ordinari. Nei Gabinetti e negli uffici legislativi dei ministri ci sono sempre magistrati. In parlamento, dove ci sono gli eletti dal popolo, quando viene chiesto un parere su un emendamento, a esprimerlo è quasi sempre un magistrato. A quel punto capisce che c’è un corto circuito. Le faccio un esempio».

Dica.

«La legge approvata in questa legislatura sulle concessioni balneari. Nel 2018 è stato votato un emendamento della Lega che faceva partire le gare dal 2033. Emendamento approvato sia dalla Camera, sia dal Senato e quindi diventato legge dello Stato. Qualcuno ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, che è fatto anch’esso da giudici amministrativi e ha stabilito che le gare devono partire dal 2023. Allora mi chiedo a cosa serve fare le leggi in parlamento. I giudici dovrebbero applicare le leggi. Allora se le scrivano loro e le intrepretino come vogliono».

Non è solo un problema di giustizia “spiccia”, dunque?

«Esatto, è anche un problema di pesi e contrappesi che è venuto meno nel sistema Stato».

Gli alleati vi stanno dando una mano?

«Fratelli d’Italia su tre quesiti è favorevole, su due contraria. Ma io rispetto anche quelli che dicono “no”, purché vengano a votare. Forza Italia è favorevole a tutti e cinque. Il Partito Radicale lo sta facendo, credendoci. Poi con noi ci sono Italia Viva, Calenda, Socialisti Italiani. Un pochino più di sveglia: se tutti facessero come me, forse andrebbe meglio».

E a centrosinistra?

«Alcuni esponenti del Pd sono a favore, e sono quelli che si muovono di più, rispetto al resto del Pd che non si muove per niente. La strombazzata “libertà di coscienza”, di fatto, è un’indicazione indiretta di non andare a votare. E questo mi rattrista».

Perché?

«Vede, il 2 giugno abbiamo festeggiato il voto con cui ci si è espressi sulla forma repubblicana. Il primo giorno in cui è stato riconosciuto il diritto di voto alle donne. Molti italiani hanno combattuto per difendere la democrazia e il diritto di voto. E invece oggi quei partiti che si dicono pronipoti della Resistenza spingono per non esercitare quel diritto. È veramente una bestemmia».

Senatore, ha letto il libro di Palamara?

«Sì, sì. Altroché».

Cosa ne pensa?

«I pochi capelli che mi sono rimasti sono diventati ricci di colpo, quando l’ho letto».

Ma le sembra verosimile?

«Pazzesco. Certe cose le avevo sentite. Ma un conto è ascoltare delle chiacchiere di corridoio, un conto è vederle scritte in un libro. Ora le do una chicca: nei giorni scorsi ho dato un’intervista a “Un giorno da pecora” su Radio 1. Subito dopo mi è arrivato un messaggio di complimenti per il lavoro che sto conducendo e lo spirito che sto mostrando. Indovini da chi? Da Luca Palamara. Di cui non avevo neanche il numero di telefono. Evidentemente lui invece aveva il mio».

Durante Tangentopoli, la Lega era al fianco dei magistrati. Ora volete riformare la giustizia. È cambiata la Lega o è cambiata la magistratura?

«Probabilmente abbiamo avuto una visione della giustizia che non era quella corretta».

Ah, affermazione pesantissima.

«Vede, io sono stato ultratifoso di Di Pietro. Sono stato suo sostenitore e poi sono diventato anche suo amico personale. Inneggiavo al fatto che finalmente si facesse pulizia. Poi però le cose vanno verificate ex post. E a fronte delle centinaia di arresti dal ’92 in poi, nel 2000, a processi conclusi, in galera ce n’erano 4. Capisce che il dubbio che la carcerazione preventiva fosse stata utilizzata come strumento per avere una confessione, per far parlare qualcuno e coinvolgere qualcun altro, viene. Dobbiamo prenderne atto».

Vale anche per i cittadini comuni?

«Certamente. Oggi il 40 per cento della popolazione carceraria è in attesa di giudizio definitivo. Il 20 per cento non ha avuto neanche una condanna in primo grado. E mille persone all’anno, tre al giorno, vengono ingiustamente arrestate. Intendo dire, con riconoscimento di legge, vengono addirittura risarcite. Immagini cosa significa per una persona essere arrestata perché hanno sbagliato un’intercettazione, o perché un collaboratore di giustizia o un pentito cerca di coinvolgerti. Ti distrugge la vita, la carriera, la famiglia, tutto».

Ultima domanda, a bruciapelo: si ricandida?

«Lo decide il partito».

Ma non possono certo fare a meno della sua esperienza.

«Decideranno se sono ancora utile. Vedremo. Il mio sogno sarebbe stato, e non l’ho ancora accantonato definitivamente, di fare il presidente del Senato. Ci sono arrivato vicino. Allora non mi fu attribuita questa possibilità perché avevo in attesa di sentenza definitiva una condanna per calunnia aggravata».

Si riferisce alla vicenda Kyenge?

«Non me lo faccia dire. È stata una brutta battuta di cui mi sono scusato. Mi avevano dato un anno e otto mesi in primo grado. Nove mesi, in secondo. La Cassazione dieci giorni fa ha annullato tutte e due le sentenze, anche quella di primo grado».

Intanto, però, non ha potuto fare il presidente del Senato.

«Esatto. Perché chi era in maggioranza con noi disse: Calderoli ha questa condanna sulle spalle. Ebbene, adesso non ce l’ho più».

Seguici sui nostri canali