«La mia famiglia allargata, i Pinguini e... la parmigiana»: ritratto inedito di Elena Carnevali
Intervista sul personale, ma anche sul politico, per conoscere meglio la donna che il centrosinistra ha candidato a sindaca di Bergamo
di Wainer Preda
Chi è davvero Elena Carnevali, candidato sindaco di Bergamo per il centrosinistra? Abbiamo cercato di capirlo almeno un po’ in questa intervista. Ne è uscito un quadro per certi versi inatteso.
Se vince, dobbiamo chiamarla sindaco o sindaca?
«Non ne faccio una questione ideologica, ma preferirei sindaca. Ma anche se mi chiameranno sindaco non mi offenderò».
Parliamo un po’ della sua vita.
«Dopo la laurea in fisioterapia, ho lavorato per tre anni alla Casa di riposo di Villa d’Adda, poi al Gleno (oggi Fondazione Carisma). Nel 1990 sono diventata dipendente degli Ospedali Riuniti (oggi Papa Giovanni) e lì ho esercitato per circa vent’anni, lavorando anche al centro di riabilitazione di Mozzo. Nel mezzo sono stata presidentessa dell’Associazione Bergamasca Disabili che è quella che alla fine mi ha introdotto alla vita politica».
Dunque non è stata una studentessa politicizzata?
«No, la passione politica è nata per la necessità di far conoscere l’unità spinale di Mozzo».
Ora è in aspettativa, giusto?
«Sì. Tengo molto alla mia autonomia economica e professionale. L’ho interrotta solo quando necessario».
Nel 1999, consigliere comunale a Bergamo.
«Esatto. Dopo un certo periodo mi sono messa in aspettativa per scelta personale, senza stipendio né riconoscimento di alcun tipo, perché dovevo acquisire competenze in campo istituzionale. Fra consiglieri di minoranza decidemmo di distribuirci i compiti. A me toccò la commissione bilancio, non proprio nelle mie corde. È stata un’esperienza forgiante. Il sindaco allora era Cesare Veneziani, l’assessore al Bilancio Franco Tentorio. Dovevi essere sul pezzo. Servivano competenze tecniche da affiancare alla lettura politica, per far bene l’opposizione. Il mio grande maestro è stato Rodolfo Papis, allora responsabile della Ragioneria del Comune».
Dunque doveva fare le pulci al commercialista Tentorio?
«È stata una buona scuola (ride, ndr). Devo dire che con quell’amministrazione c’è stata una bella dialettica. Con Veneziani poi avevo un rapporto di reciproca stima».
Lei ha fatto il percorso Pds-Ds-Pd. Ma la sua famiglia era di sinistra?
«Non proprio. Vengo da una famiglia democristiana. In particolare mio zio Luciano, di fatto l’unico maschio, figura di riferimento della famiglia. Ho perso mio padre da piccola. Le altre, in casa, erano tutte donne. Sono cresciuta in un ambiente femminile».
Ma lei è di centrosinistra o di sinistracentro?
«Sono più di centrosinistra. Diciamo che mi identificavano come “migliorista”. La destra della sinistra, per intenderci».
E allora cosa pensa quando dicono che lei è di sinistra?
«Se occuparsi delle persone in situazioni di fragilità, delle disuguaglianze, di pari opportunità è di sinistra, allora sono di sinistra. Ma ho sempre avuto un’attenzione anche al mondo economico, visto che se non cresciamo difficilmente potremo dare risposte anche ai problemi di chi è in difficoltà».
Bonaccini o Elly Schlein?
«Sono più vicina alle politiche di Bonaccini. Al congresso nazionale ho votato per lui».
E di Elly cosa pensa?
«Ha messo al centro la riduzione delle disuguaglianze, la sostenibilità e l’ambiente dove siamo più in ritardo rispetto all’Europa. Condivido alcune battaglie come quella sul salario minimo e lavoro povero, che purtroppo non sono andate in porto. Bonaccini voleva dare rappresentanza anche alle istanze del mondo produttivo, che deve essere patrimonio nostro, delle politiche del lavoro, delle politiche industriali, delle piccole medie imprese».
Il vento soffia a destra. Anche a Bergamo?
«Credo che i cittadini siano in grado di distinguere la diversità della proposta politica e le persone che la incarnano».
In città il Pd è ancora il primo partito. Basta per vincere?
«Le Politiche e le Regionali hanno dato riscontri positivi anche per la capacità di Giorgio Gori che ha permesso di andare oltre la mera connotazione politica. Non vedo nella mia futura coalizione diversità rispetto a quella che sostenne l’attuale sindaco nel 2014. Quel che conta è, da un lato, portare a buon frutto l’eredità che il sindaco ci lascia; dall’altro, rispondere ai bisogni nuovi».
Lei alle scorse Politiche, per un gioco interno al Pd, è finita esclusa. Mai pensato di abbandonare il partito?
«C’è stata delusione, persino amarezza. Credo di essere stata una parlamentare del territorio con un ruolo importante, specie nell’ultimo periodo, da capogruppo in commissione Sanità. Ma se fai politica devi mettere in conto che non sempre c’è un riconoscimento di quello che hai fatto. Quella scelta a Bergamo non è stata capita da nessuno, non solo da me. Ma non sarebbe stato né onorevole né intelligente lasciare il mio impegno politico perché non ho avuto riconoscimenti personali. Ho ingoiato il rospo».
Se diventa sindaca avrà esponenti a Roma e in Regione con cui dialogare?
«Se non hai relazioni a livello ministeriale e regionale diventa tutto più complicato. La mia esperienza da dieci anni da parlamentare sarà un vantaggio per la città se dovessi venire eletta. Bergamo oggi non è più quella di una volta. C’è interdipendenza forte col Demanio, con Cassa Depositi e Prestiti, con le Ferrovie. Basti guardare il Pnrr: senza interlocuzioni con le istituzioni la messa a terra dei progetti è più difficile».
Persone a cui deve la carriera politica?
«Diventare segretaria cittadina è stato un momento di svolta. Fui proposta da Roberto Minardi. Poi Antonio Misiani, Maurizio Martina e Giovanni Sanga. Paolo Crivelli, con cui ho avuto un forte rapporto di amicizia. Per la crescita dell’esperienza amministrativa, Roberto Bruni e Giorgio Gori. In Parlamento, tutti i segretari nazionali, da Bersani a Renzi, e pure a Enrico Letta».
Ci vuole un bel coraggio a candidarsi dopo Gori. Oltretutto lei sarebbe il primo sindaco donna di Bergamo. Non la spaventa?
«Il coraggio non mi manca, così come la determinazione e la forza di volontà. Il paragone non mi spaventa. Gori è una figura di riferimento. Di lui apprezzo il mix di capacità di visione e pragmatismo. Dal canto mio, penso di affiancarla con la capacità di ascolto».
Gori ha avuto un sua visione di città. Lei a cosa si ispira?
«La città che ho in mente vorrebbe conciliare crescita, sostenibilità - ambientale, economica e sociale -, e qualità della vita. Gori ha “sprovincializzato” Bergamo, oggi crocevia fra turismo, innovazione e sviluppo. Ma non dimentichiamo che questa città ha una storia manifatturiera. Dobbiamo lavorare per attrarre ancor di più le competenze che servono al nostro sistema industriale e al tessuto produttivo. E poi occorre vicinanza: c’è una grossa parte di città, soprattutto anziana, che vive sola. Serve il potenziamento delle filiere educative e delle politiche sociali, a cui tengo molto».
Parlava di qualità della vita: sul traffico come la mettiamo?
«Mai come oggi, Bergamo vede realizzare quello che è atteso da quarant’anni. La T2, la Brt e la cura del ferro permetteranno alla nostra città di organizzare una mobilità diversa. La scommessa di Porta Sud, una delle sfide più importanti, ridisegnerà tutto. Non è un sogno, ma una realtà che dobbiamo riuscire a governare».
Ma siamo sicuri che Brt e raddoppio Bergamo-Curno servano alla mobilità locale?
«Noi siamo disponibili ad accogliere il polo universitario di ingegneria in città. Ma il mondo produttivo intende investire anche su Dalmine, attraverso la formazione e gli Its. Il mondo Confindustriale e il sistema Bergamo ci credono molto. Poi è evidente che una volta costruiti, i sistemi di mobilità aprono prospettive di sviluppo».
Parliamo di aeroporto. Bisogna mettere un tetto ai voli?
«L’aeroporto è un motore di crescita e di sviluppo in termini economici, occupazionali, turistici. Brescia ce lo invidia. Ma il suo sviluppo non potrà essere infinito, proprio per questioni fisiche. Dunque a un certo punto dovremo trovare una soluzione. Guardare alle alleanze diventerà indispensabile. Zonizzazione e indagine epidemiologica sono strumenti importanti».
Il suo probabile avversario sarà l’avvocato Pezzotta. Lo teme?
«No».
La squadra di governo: se vince, farà un Gori tris?
«Non faccio i nomi anche se so che volete arrivare lì. Dirò solo che sarà fatta di persone competenti, di impegno totale per l’Amministrazione e che avrà continuità e innovazione».
Che campagna elettorale ha in mente?
«Allegra, coinvolgente, di prossimità, di relazione con gli stakeholder e di grande ascolto delle persone».
Alleggeriamo: oltre alla politica cosa le piace?
«Amo il cinema, lo sport, i viaggi».
Che sport pratica?
«Andavo in bicicletta, amo la pallavolo e l’equitazione. La bici l’ho sempre vissuta come competizione con me stessa. Per capire fin dove riesco ad arrivare».
Il suo piatto preferito?
«Le melanzane alla parmigiana».
Una raffica di domande secche. Pinguini tattici nucleari o Pooh?
«Pinguini».
Domenica allo stadio o al Donizetti?
«Al pomeriggio allo stadio, alla sera al Donizetti».
Caffè al banco o seduti?
«Seduti».
Balzer o Circolino?
«A pranzo da uno, a cena dall’altro».
Mare o montagna?
«Con l’età, dico mare».
Cani o gatti?
«Cani».
Polenta o casoncelli?
«Polenta».
Brad Pitt o George Clooney?
«Orpo, difficile...».
Non mi dica a pranzo Brad Pitt e Clooney a cena…
«No, dai (ride, ndr). Alla fine dico Clooney».
Elena Carnevali avrebbe un ruolo difficile, ossia dar voce al sociale, per tutte le persone fragili che vivono a Bergamo. E questo per tutti gli aspetti che lo compongono: economico, di vicinanza, di concreto aiuto, di monitoraggio delle politiche socio sanitarie della ASST cittadina.