Punto e a capo

L'ultima di Gori primo cittadino: «Pensavo di fare il manager, ma un sindaco è molto di più»

Il sindaco chiude dieci anni di mandato e punta a un posto in Europa: «È lì che si scrive il nostro futuro. I figli mi hanno insegnato che...»

L'ultima di Gori primo cittadino: «Pensavo di fare il manager, ma un sindaco è molto di più»
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di Andrea Rossetti

A guardare il suo ufficio a Palazzo Frizzoni, tutto sembra fuorché pronto all’addio. I faldoni marchiati “Comune di Bergamo” occupano ogni angolo. Eppure, da lunedì 10 giugno Giorgio Gori non sarà più sindaco di Bergamo. Fine di un capitolo di vita durato dieci anni, con la speranza di iniziarne subito un altro in Europa.

La prima domanda è dovuta: come sta?

«Bene, di buon umore. Sono sereno e continuo finché posso a lavorare da sindaco».

A gennaio 2023 ci disse che sognava di chiudere il mandato con l’inaugurazione del Parking Fara. Ce l’ha fatta.

«È stato un cammino complesso, quindi è una soddisfazione vederlo aperto».

Un’opera che continua a dividere i bergamaschi.

«Non sono d’accordo. Bergamo è una città di 120 mila abitanti, se anche mille persone non sono d’accordo, ce ne sono altre 119 mila che la pensano diversamente. E poi, il giorno dell’inaugurazione, quanti erano a protestare? Una trentina? Si tratta di un’opera che abbiamo ereditato e a cui abbiamo dato un senso mettendola al centro di una nuova politica di accesso e sosta in Città Alta. Anche perché era l’Unesco a chiederci un piano per alleggerire il carico di traffico sulle Mura».

Gori commosso durante l'ultimo Consiglio comunale

Quest’opera è una delle tante che hanno cambiato Bergamo in questi dieci anni. Lei, invece, com’è cambiato?

«Sono arrivato a Palazzo Frizzoni con l’idea che il sindaco fosse principalmente un manager e ritenendomi in grado di mettere le mie competenze al servizio della pubblica amministrazione. Ma mi sbagliavo».

Cioè?

«Quel lato serve, ma non basta. È quel qualcosa in più che viene richiesto che mi ha cambiato. È un’esperienza che non puoi definire professionalmente, è umanamente incredibile».

Nel 2014 appariva più freddo e distaccato.

«C’era anche tanta timidezza. Sicuramente oggi apprezzo di più il rapporto umano. Anche in questi mesi di campagna elettorale sono stato in mezzo alle persone ed è una cosa che mi piace. Mi fermo, ascolto, mi confronto, scopro storie interessanti...».

Nel 2014 aveva tre figli “piccoli”. Il suo percorso da sindaco ha accompagnato anche loro. Come stanno vivendo questo cambiamento?

«A prescindere dal mio lavoro, Benedetta, Alessandro e Angelica stanno diventando adulti, si stanno costruendo le loro vite. Una è Cagliari, l’altro in Spagna, l’ultima a Milano. Il distacco è già avvenuto. Benedico l’invenzione dei social, che mi permettono di essere sempre connesso a loro».

Rappresentano le nuove generazioni: le hanno dato degli spunti? Non le hanno mai detto: “Papà, sei vecchio, non capisci”?

«No, devo dire che non me l’hanno mai detto. Per fortuna (ride, ndr). Ma certamente mi hanno trasmesso tanto. La loro sensibilità sui temi ambientali, ad esempio, mi è stata di grande aiuto. Dieci anni fa non ero così consapevole. Per il resto, ho sempre preferito dare l’esempio coi fatti. E penso e spero che la mia esperienza da sindaco sia stata un insegnamento per loro».

E sua moglie? Come ha preso la decisione di candidarsi alle Europee?

«Cristina (Parodi, ndr) mi ha solo chiesto quante sere starò fuori adesso. È chiaro che, se verrò eletto al Parlamento europeo, sarà molto diverso: da casa mia a Palazzo Frizzoni ci metto sei minuti in bicicletta. Però mia moglie mi conosce, sa come sono fatto».

Sempre in cerca di nuove sfide?

«Diciamo che quando le cose sono andate bene, mi viene voglia di passare ad altro. Scrivere nuove pagine di vita».

Non c’è anche un po’ di ansia?

«Un pochino sì. Per dieci anni sono stato alla guida di una squadra, con la possibilità di fare cose molto concrete. In Europa so bene che non sarà così. Sarò davanti a un libro bianco, sarò una piccola parte di un sistema molto più ampio e complicato. Ma sono anche convinto che è lì che si scrive il nostro futuro e questo mi affascina molto. Ho un po’ di ansia sull’inglese, temo di non saperlo abbastanza bene. Sto prendendo lezioni e se verrò eletto farò una full immersion per tutta estate».

Qual è la cosa di questi anni di cui è più orgoglioso e quella di cui, invece, si pente?

«Tra mille progetti e iniziative, direi che il terribile periodo del Covid è quello che ha segnato di più la mia esperienza. Sia in positivo che in negativo. Mi pento di aver inizialmente sottovalutato la situazione, ma sono orgoglioso di come siamo stati poi capaci di gestirla, di essere presenti, di prendere decisioni difficili. In quel periodo sono stati innescati processi che sono stati fondamentali per la ripartenza della città. In questo, anche l’Atalanta è stata una bella sponda».

I nerazzurri sono stati un esempio anche per lei come amministratore?

«L’Atalanta racchiude in sé tutti i valori nei quali come comunità ci riconosciamo: determinazione, costanza, organizzazione, “mòla mia”. Al tempo stesso, l’Atalanta in questi otto anni ha ispirato un percorso. Ha fatto capire che una realtà di provincia può puntare in alto senza perdere concretezza. Noi abbiamo provato a fare lo stesso: essere una città di provincia fiera delle sue radici ma con qualche ambizione in più».

Non male per un milanista...

(Ride, ndr) «Ne ho parlato il giorno in cui abbiamo dato la medaglia d’oro alla squadra. Da piccolo amavo Rivera, ma sono diventato tifoso dell’Atalanta tanti anni fa, da perfetto bastian contrario, quando nell’azienda in cui lavoravo ho visto diventare tutti improvvisamente milanisti, e ancor di più quando mio figlio tornò dall’asilo dicendo che da grande avrebbe voluto fare il calciatore dell’Atalanta. Con lui, da quel giorno, ho condiviso la passione per la Dea, dagli anni delle retrocessioni fino alla notte magica di Dublino».

Ha parlato del Covid, ma in termini di opere concrete qual è quella di cui è più contento?

«Forse il Centro piacentiniano. Anche su quello non tutti erano d’accordo, ma credo che un sindaco debba guardare un pelo più avanti quando ritiene che un intervento sia quello giusto. Non c’è nessuna scelta che non abbia dei contro».

E qual è l’errore che ritiene di aver fatto e che eviterebbe?

«Sinceramente, fatico a trovarne uno...».

Vuole una mano? Piazzale Alpini. O Pontesecco.

«Secondo me non sono stati errori. È stato a Pontesecco?».

Sì. E le vostre previsioni si sono rivelate un po’ troppo ottimistiche.

«Nelle ore di punta il traffico è un po’ rallentato, ma nel resto della giornata la rimozione dei semafori ha aiutato. Le previsioni erano state un po’ troppo ottimistiche, è vero, ma abbiamo avuto anche l’umiltà di cambiare, combinando la soluzione delle rotatorie a quella dei birilli e delle corsie reversibili».

E Piazzale Alpini?

«Oggi è un luogo frequentabile e frequentato. Con la stessa convinzione, ritengo sia giusto tutelare le persone che lì lavorano e che subivano tre furti a settimana. Adesso c’è un nuovo progetto di animazione molto ricco, ci andremo ad ascoltare presentazioni di libri e concerti, così come a ballare il liscio».

Lascia anche tanti progetti ancora aperti.

«Solo in termini cantieristici. Quelli finanziati dal Pnrr sono tutti nei tempi, sono certo che nel 2026 saranno conclusi. Siamo anche riusciti a (...)

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Commenti
Marilù

Bravo Gori! Spero tanto che la gente capisca che adesso non si può tornare indietro. Gori ha aperto una visione europea della città che è rinata con lui ed è più bella. Avanti così!

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