Ultimo anno

Intervista a Giorgio Gori: «Quando non sarò più sindaco? Vorrei occuparmi d'immigrazione»

A tutto campo con il primo cittadino, mentre Bergamo prepara un 2023 all’insegna della cultura. E sul suo successore dice...

Intervista a Giorgio Gori: «Quando non sarò più sindaco? Vorrei occuparmi d'immigrazione»
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di Andrea Rossetti

Poche ore dopo il rientro dalla breve vacanza che s’è concesso, il sindaco Giorgio Gori è già operativo. Troppo lontano da Palazzo Frizzoni pare proprio che faccia fatica a stare. Ma il 2023 sarà, di fatto, il suo ultimo anno da primo cittadino. «Già - ammette -, ma in fondo sono contento. Dieci anni sono un tempo giusto, né troppo breve né troppo lungo. Adesso si vede il traguardo e quando sei sull’ultimo rettilineo devi spingere».

È anche il momento in cui si rischiano i crampi.

«E in cui bisogna dare tutto. Gli stimoli non mancano, il 2023 è un anno ricco e importante. Però l’idea di essere vicino al completamento del mio servizio amministrativo mi piace. Anche se sono sicuro che poi mi mancherà».

Non le piacerebbe un terzo mandato?

«No, dieci anni sono un tempo giusto. Anche se la legge lo concedesse non mi ricandiderei».

E dopo Gori?

«Dobbiamo fare in modo che ci sia una o uno più bravo, che si faccia ancor meglio. Se possibile nella continuità, almeno parziale. Ovviamente ognuno ha la sua personalità».

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Per molti, la sua gestione è stata positiva. Sia perché ha avuto la possibilità di svilupparla su due mandati, sia perché, per dieci anni, ha fatto solo il sindaco e ci ha messo tutte le energie.

«E così farà anche chi verrà dopo di me».

Non è così scontato.

«Secondo me, la città ha capito che avere un sindaco a tempo pieno fa la differenza. Questo diventa quindi un requisito a cui non si è disposti a rinunciare. Chi si candiderà, dovrà dare una piena disponibilità. Per gestire bene una città di queste dimensioni, se lo vuoi fare bene, non hai alternative. Non può esserci un sindaco a mezzo servizio».

Fino all’ultimo ha voluto alzare l’asticella: quest’anno siamo Capitale della Cultura.

«Bello, no?».

Non preferiva chiudere con un anno “tranquillo”?

«Non sarebbe stato divertente. A parte gli scherzi, ricordiamoci che questo grande evento è figlio del 2020. Quando abbiamo pensato di candidare Bergamo e Brescia stavamo vivendo momenti drammatici, era necessario dare ai cittadini un segnale di speranza, guardare avanti e darsi un traguardo ambizioso. Adesso ci siamo e mi pare arrivi nel momento giusto, con una città che nel frattempo si è irrobustita nei suoi fondamentali, economici e sociali, e ora scopre anche di avere un capitale culturale di straordinaria ricchezza».

È un po’ un cerchio che si chiude.

«Per certi versi sì, ma solo per aprire ulteriori prospettive».

La Capitale della Cultura non prevede grandi finanziamenti da Roma: un milione di euro. Solo l’evento inaugurale, però, ne costerà circa settecentomila.

«Sull’inaugurazione non mettiamo neppure un euro pubblico. È totalmente finanziata da risorse private, che sono circa il novanta per cento degli investimenti per l’anno da Capitale della Cultura. È un evento che si finanzia quasi totalmente con risorse private».

Il rapporto tra pubblico e privato è stato un elemento caratterizzante del suo mandato. E, per certi versi, una grande novità.

«Credo molto a questa interazione, a un privato che si fa carico di interessi collettivi e che partecipa alla crescita del territorio. Del resto, le entrate fiscali di una città come Bergamo, che si fa anche carico di numerosi servizi sovraccomunali, ma che è piccola rispetto al resto della provincia, da sole non bastano. O si aggiungono risorse private o non si è in grado di svolgere fino in fondo il proprio ruolo. Forse è vero che si tratta di una novità: diciamo che è un pezzettino di eredità che lascio e che mi piacerebbe venisse portata avanti».

Non crede che questo tipo di rapporto pubblico-privato sia stato possibile innanzitutto perché c’era lei?

«Ognuno ha il suo vissuto, la propria storia. Il mio passato professionale ha sicuramente influito sulla mia modalità amministrativa. Ma queste cose si sedimentano, diventano uno stile di amministrazione. Chi ha lavorato con me in questi anni lo ha vissuto e lo ha fatto suo. Perché la città dovrebbe tornare indietro?».

Magari perché qualcuno non la vede nello stesso modo.

«Io credo sia da sottolineare positivamente (...)

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