L'intervista

Roberto Calderoli: «Non date retta ai sondaggi, la Lega arriverà al 17 per cento»

Il senatore: «A Pontida rilanceremo Autonomia e federalismo. Salvini è indispensabile. I candidati li ha scelti lui. E sulla caduta di Draghi...»

Roberto Calderoli: «Non date retta ai sondaggi, la Lega arriverà al 17 per cento»
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di Wainer Preda

Il pratone di Pontida attende. Gli oltre 200 autobus previsti raccontano di un evento record, a una settimana dalle elezioni. Roberto Calderoli, come sempre, ci sarà. È un punto di riferimento per la Lega bergamasca. E, soprattutto, il senatore con la maggior esperienza politica nel Carroccio.

Calderoli, come le sembra questa campagna elettorale?

«Complicata. Nessuno se l’aspettava. Una corsa agli adempimenti burocratici».

Lei è reduce dalla sconfitta al referendum...

«Al referendum hanno votato in pochi, ma è una battaglia nobile che rifarei subito. Sentendo le storie di tante persone finite nel tritacarne della malagiustizia, da giustizialista sono diventato garantista. Ogni giorno tre innocenti finiscono in galera per errori giudiziari. E tanti altri sono in carcere in attesa di giudizio. Non è accettabile in un Paese civile».

Domenica c’è il raduno di Pontida...

«È il ritorno della gente sul pratone, dopo il Covid. E già questo è un bel segno. Per me Pontida è tornare al motivo per cui ho aderito alla Lega. Le parole d’ordine erano e sono autonomia e federalismo».

Ma qual è l’identità della Lega oggi?

«Continua a essere il partito dell’autonomia e del federalismo, da tradurre anche sul territorio nazionale».

Impresa ardua.

«Anche qualche regione del Mezzogiorno ha capito cos’è l’autonomia e ci sta ragionando sopra. Hanno compreso che i soldi, spesi non bene dallo Stato centrale, possono essere meglio impiegati a livello locale, con maggiori servizi».

Avete in mente un’Italia fatta da tante regioni autonome?

«Se ciascuno, con le sue peculiarità, chiedesse parte delle 23 competenze che possono essere trasferite, avremmo tante regioni a statuto speciale. Faccio un esempio: la Lombardia con 10 milioni di abitanti può avere una serie di competenze, il Molise può avere bisogno di altre».

Com’è cambiata la Lega dalle origini?

«In origine era territoriale. Siamo partiti dalla Lega Lombarda, poi Bossi è riuscito a mettere insieme le diverse leghe e i partiti autonomisti, sotto l’egida della Lega Nord. Convincere i veneti non era così scontato. Salvini ha esportato questo “sindacato” dei territori del Nord, al Centro e al Sud».

Senza grande successo.

«La mentalità del politico al Centrosud è diversa. Qui al Nord abbiamo creato ex novo una classe dirigente di amministratori, facendola crescere dalla gavetta. Laggiù, i politici passano con disinvoltura da un partito all’altro, per potersi candidare. È diversa la gestione del potere».

Al Sud il vostro progetto si è incagliato. Al Nord ci sono fibrillazioni interne.

«I riscontri al Sud sono volatili. Mentre, internamente, la Lega è un partito strutturato ma democratico. I militanti eleggono il segretario di sezione. Il segretario provinciale da noi ha un peso politico e gestionale pesante. Poi tutti eleggono il consiglio regionale. E infine i delegati scelgono il segretario federale».

Ma i congressi provinciali e nazionale latitano.

«Prima ci sono i congressi sezionali, poi i provinciali, poi i regionali, e infine il federale. Ma beninteso: Salvini non è stato nominato, è stato eletto da un congresso. È nel pieno del suo mandato».

Dentro la Lega ci sono le correnti?

«No. Ci sono persone che la pensano in maniera diversa. Giorgetti (...)

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