Disperata pausa caffè

Pensieri segreti di una commessa Quello che: «Un cappuccino secco»

Pensieri segreti di una commessa Quello che: «Un cappuccino secco»
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Mi avevate lasciato in pausa caffè, alle prese con la crème della crème della clientela. Non ho ancora avuto modo di ordinare nulla, ma lo spettacolo è così affascinante da tenermi incollata al bancone come se fosse un documentario.

In che senso «tazza grande»? Si avvicina al bar una coppia di amiche. Sembrano normali a prima vista. Ma non fidatevi. Una chiede un caffè liscio e l’altra un caffè macchiato. Però: «Il liscio me lo faccia in tazza grande, per favore». Cosa intenderà, mi chiedo. Vorrà più caffè? E allora perché non ordinare un lungo? Invece no. La signorina vuole la stessa quantità di un caffè normale, ma con una tazza più spaziosa. Praticamente è come farsi servire un calice di vino in un secchio. Ma vuoi mettere l’inebriante sensazione di avere più volume per lasciare che l’aroma del caffè si spanda all’interno della ceramica? Oppure l’attesa del caffè che prima di arrivare alle tue labbra deve percorrere quell’immenso spazio? È un’esperienza mentale da non sottovalutare, e poi alla fine puoi guardare la tua tazza enorme e vuota e immaginarti di aver bevuto litri e litri di caffeina, ma senza nemmeno un’extrasistole. Subito tentata da tutto questo turbinio di sensazioni, l’amica non perde tempo: «Anche il macchiato allora in tazza grande. Però ci metta più latte». Quindi stai chiedendo un cappuccino. Ma mascherato da caffè macchiato; tutto questo trasformismo mi disorienta, ma è sociologicamente attuale. Far apparire un cappuccio come un caffè macchiato è molto meno peccaminoso per la dieta. Senso di colpa aggirato grazie a un escamotage linguistico.

 

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Il marocchino, in barba alle calorie. Poi subito di fianco arriva lei. La signorotta robusta con la scollatura aperta anche a gennaio che chiede, appoggiando tutta la sua materna prorompenza sul bancone: «Un marocchino, per favore». Chi ordina il marocchino invece se ne fa proprio un baffo del concetto di restrizione calorica. Già la ricetta tradizionale comprende panna, latte, cacao e zucchero, ma ormai solo i bar dei cinesi si attengono a questi ingredienti. Sembra diventata una gara a chi aggiunge più roba: esistono marocchini con un cioccolatino sul fondo, con il miele, con la spumiglia, con il gelato, con il pan di spagna, con la nutella, con la panna spray, con i biscotti a pezzi, con la nocciola, e più l’aggiunta è una porcheria, più il marocchino ha successo. La signora, nello specifico chiede un aggiunta di topping al caramello. Meraviglioso. Praticamente del caffè è rimasto solo il ricordo, e neppure molto nitido. Guarda con disprezzo le due delle tazze grandi e si sbafa la sua bevanda da 5000 kcal, pulendo anche il fondo.

Un cappuccino chiaro. Poi arriva la guardia del centro commerciale. Lui, almeno lui, sarà normale, spero. Ordina un cappuccino; un attimo di sospensione... ma chiaro. Quello normale non si intonava bene con i suoi occhi? I colori dell’inverno 2017/2018 sono i beige sbiaditi? La guardia è razzista? Che cos’ha che non va un cappuccino normale? Ho scoperto solo chiedendo al barista che vuol dire semplicemente con meno caffè. Sofismi per ipertesi.

 

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«Un cappuccino secco». Ma abbiamo anche elaborazioni per diabetici. L’ordinazione del giorno è sicuramente questa: «Mi può fare un marocchino, ma mescolarlo con il Dietor?» dice l’anziana signora che mi si siede di fianco. Con le quattro calorie che ha risparmiato, signora, le consiglio di accendere una candelina per il suo pancreas. Quasi contemporaneamente sento ordinare un “cappuccino secco”. Che cos’è questa bevanda ossimorica? Sarà uno spray? Un concentrato di cappuccino? Una tazza di polvere al gusto di? Anche il barista è impreparato, aspetta delucidazioni. E come al solito la realtà supera incredibilmente la fantasia. Un cappuccino secco, signori e signori, è una tazza di schiuma di cappuccino. Perché sorbirsi tutto un caffelatte se in realtà quello che bramate del cappuccino è la schiuma soffice? Risulta praticamente impossibile da bere, ma è una tazza di irresistibile inconsistenza. Per il barista invece, sappiatelo, è una tazza di fastidio. Punto. Diciamocelo, riempire una tazza di sola schiuma non è proprio facile, già lo è farne di decente da depositare sopra il caffè.

Comunque, è il momento anche per me di ordinare, la mia pausa caffè è quasi finita. Richiamo l’attenzione del barista: «Un caffè». Sì, sono una persona banale. Ma il barista mi ama alla follia.

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