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Chiesa di S. Caterina di Tremozia Una vera perla nascosta ai più

Chiesa di S. Caterina di Tremozia Una vera perla nascosta ai più
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Il 25 novembre la Chiesa ha festeggiato Santa Caterina (dal greco kataros, “puro”), principessa egizia figlia del re di Costa vissuta ad Alessandria nel IV secolo e lì martirizzata per conto dell’Imperatore Massenzio al rifiuto delle nozze con Massimiano e della sua conversione al paganesimo. Insieme a San Rocco e a San Sebastiano, è una delle figure più rappresentate all’interno delle opere d’arte che nei secoli hanno accompagnato la fervente devozione dei cristiani: la sua stoica sopportazione di ingiurie e martiri l’hanno fatta eleggere a una sorta di eroina, che invita le fasce più deboli dei credenti alla resilienza, alla persistenza e alla fede accecante in Dio. Al culto di Santa Caterina, Bergamo ha intitolato addirittura un borgo, tra i più vivaci in città, insieme naturalmente alla sua omonima chiesa, oltre a oratori, cappellette e santelle disseminate un po’ ovunque in città e provincia.

 

 

Caterina nel nostro territorio è tra le protagoniste indiscusse di varie raffigurazioni, più o meno omogenee secondo la sua agiografia, che in alcuni casi è stata integrata: da figura isolata affiancata dalla sua inseparabile ruota dentata (a Bergamo la si può vedere nella ex chiesa di Sant’Agostino e nella chiesa e cripta di San Michele al Pozzo Bianco, ad esempio) o misticamente predisposta alle Nozze mistiche con Cristo bimbo (sempre a Bergamo nella Basilica Santa Maria Maggiore), fino ai cicli pittorici che ne snocciolano la sua eroica vicenda di fede in brevi ma intensi riquadri (tra i più noti quelli dell’oratorio Suardi a Trescore Balneario e quelli dell’oratorio di San Bernardino a Lallio). Ma di tutte le chiese dedicate a lei nella nostra Diocesi, ce ne è una ancora fresca di restauro (2010/'11), che pare davvero un gioiellino. Stiamo parlando di Santa Caterina di Tremozia ad Almenno San Bartolomeo, così chiamata dal nome della collina su cui sorge. Esternamente è quasi difficile riconoscerla, se non fosse per la bacheca che ne indica gli orari di apertura, perché si presenta come corpo centrale di un lungo fabbricato su strada; in realtà, la porzione a destra dell’unico ingresso principale corrisponde al primo minuscolo monastero benedettino, già chiuso entro l’inizio della seconda metà del XVI secolo.

La sua fondazione risale al 1512, quando tre giovani donne vollero dedicarvisi con preghiera e penitenza, fino a ottenere nel 1514 sufficienti lasciti per consacrarsi ed erigere chiesa e monastero in forme stabili nel 1515, in seguito a una pestilenza. Non mancarono liti, scandali, soprusi e antagonismi tra tutti quei soggetti, non ultimi i monaci agostiniani del vicino Convento di San Nicola ad Almenno San Salvatore e la Confraternita del Ss. Sacramento di Almenno San Bartolomeo, che portarono già nel 1518 alla riduzione allo stato laicale delle monache e, in seguito, a complesse vicende giudiziarie. Queste terminarono malamente nel 1555 con la chiusura del cenobio e l’acquisto della proprietà da parte dei sindaci della confraternita locale. Oggi l’ex monastero è adibito ad abitazione privata (pare senza visibili reminiscenze di quel lontano passato), mentre la chiesa è ancora consacrata e utilizzata per ricorrenze sacre o incontri si stampo culturale in seguito al restauro.

 

 

Il piccolo edificio presenta un vano rettangolare, un arco trionfale che immette in un modesto presbiterio: il tutto pavimentato in mattonelle quadrate e coperto a capanna da travi lignee e soffitto in formelle di cotto. Sulla parte dirimpetto l’ingresso, a partire da sinistra, vi sono otto riquadri a fresco disposti su due registri: esclusi gli ultimi due sovrapposti sulla destra più recenti, dedicati a santi francescani e agostiniani (Francesco, Monica e Nicola), gli altri sei narrano dei supplizi subiti dalla santa titolare dell’edificio, ovvero la carcerazione, l’asportazione dei seni (secondo la versione della Legenda Aurea) e l’aderenza alla ruota dentata fino alla decapitazione, che portò al miracolo del latte bianco sgorgato dal corpo acefalo al posto del sangue vivo. Sono datati al 1516 circa e sono attribuiti per tangenze stilistiche con altri canteri a Jacopino Scipioni d’Averara (documentato dal 1491 al 1532), frescante originario della Val Brembana e i cui interventi sono attestati anche a Bergamo in Santa Maria Maggiore, Santa Maria delle Grazie, Sant’Agostino e Santo Stefano: sobrio e solidamente formale al contempo, l’artista è contraddistinto da una grande naturalezza d’espressione pienamente quattrocentesca.

Sulla parete opposta, databili alla fine del secolo e di evidente minore levatura, vi sono altri riquadri con scene isolate, ma tutte legate a tentazioni vinte da «uno spirito attratto dalla vita monastica». Sull’arco trionfale, invece, sempre ad affresco persistono una Crocifissione, Nozze Mistiche e Pietà, quest’ultima tranciata dall’apertura di una finestra probabilmente già nel primo quarto del XVII secolo, quando la chiesa divenne sede della Confraternita dei Disciplini Bianchi; con l’aggregazione di questi alla casa madre di Bergamo nel 1648, sita presso la chiesa della Maddalena in Borgo Sant’Alessandro, si completerà la decorazione interna della chiesa, intervenendo sull’intradosso dell’arcone e sulle pareti del presbiterio, raffigurando la Maddalena, San Francesco e Santa Rita da Cascia.

 

 

Caterina è invocata a partire dal IX secolo, quando si credette che gli angeli avessero traslato il suo corpo sul monte Sinai (da cui il santuario omonimo, incessante meta di pellegrinaggi a tutt’oggi), per la protezione di oratori, filosofi, notai, sarte, modiste, filatrici, carradori, balie e nutrici (per il latte sgorgato dal corpo acefalo).

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