Lo straordinario viaggio in bici dei due amici per dire grazie agli ospedali tedeschi
A Bamberg accolti dall'amministrazione e dal coro della via che cantava Bella Ciao. «Se penso a quel momento mi vengono ancora i brividi. Noi abbiamo cantato con loro»
di Paolo Aresi
Emilio lavora all’Ats, l’ex Asl, e l’epidemia di Covid l’ha vissuta nella trincea dell’ufficio, di professione è educatore, ma durante quei giorni lui e i suoi colleghi hanno aiutato là dove c’era bisogno, dalle otto della mattina alle otto di sera, orario continuato. Ora Emilio con un amico ha preso la bicicletta e ha percorso mille e cento chilometri per andare a dire grazie ai tedeschi della città di Bamberg e ai medici delle cliniche di Lipsia. E in quelle città ha portato le lettere e gli omaggi del sindaco di Bergamo, dell’ospedale Papa Giovanni, del paese di Nembro.
Racconta Emilio Maino, 57 anni, di Seriate: «E’ successo che, durante l’epidemia di Covid, in quei giorni terribili di marzo, a un certo punto sullo smartphone mi è arrivato quel video con le persone che cantavano “Bella Ciao”, ho scoperto che erano tedeschi. Quel video mi ha fatto venire le lacrime agli occhi, mi ha commosso davvero tanto. Mi è sembrato un regalo bellissimo, loro, i tedeschi, che uscivano a cantare la canzone dei nostri partigiani sui terrazzi, alle finestre. Poi ho letto dell’aiuto che è stato dato ai nostri malati, credo quarantasette, negli ospedali della Germania, in particolare a Lipsia. Mi sono domandato perché i tedeschi stavano facendo questo per noi, così ho deciso che sarebbe stato bello andare lassù a dire loro grazie».
Era il 16 marzo quando arrivò sui telefonini quella Bella Ciao cantata per strada. Arrivava dalla città di Bamberg che si trova in Baviera. In quella via composta di villette a schiera, abita il direttore del liceo musicale della città, Johannes Klerh: lui ha organizzato quello splendido coro. Continua il racconto di Emilio: «Il Covid ha segnato tante persone, anche chi, come me, per fortuna non ha avuto lutti. Ma quante vicende che ho sentito. In particolare mi ricordo di una signora che si è ammalata di Covid, ha poi perso un figlio di quarantaquattro anni e il marito. Il marito era fra quelli trasportati a Lipsia con un aereo militare. Purtroppo non ce l’ha fatta. Una storia terribile. Io, in cinquantasette anni di vita ne ho viste di cotte e di crude, ho fatto servizio anche sul camper alla stazione per seguire i tossici... ma questa è stata la vicenda più terribile che mi è capitata. Confesso, un paio di volte ho barcollato».
Emilio ha detto agli amici con i quali normalmente pedala dell’intenzione di raggiungere la Germania per dire grazie. Fulvio Luraschi ha subito detto che lo avrebbe accompagnato. Fulvio ha lavorato per una vita alla Magrini Schneider, responsabile del laboratorio di analisi, ora è in pensione. Dice Emilio: «Siamo partiti da piazza Vecchia alle sette di mattina del 21 luglio, con noi c’era una ventina di ciclisti che ci hanno accompagnato fino al passo della Presolana, è intervenuta anche l’assessore Marchesi. Ci è stata consegnata una lettera del sindaco Gori e una lettera da parte dell’Ospedale Papa Giovanni da consegnare a Bamberg e a Lipsia. A Nembro ci siamo fermati per il saluto del sindaco Cancelli, davanti al Comune. Abbiamo sostato anche a Castione, ci hanno offerto una seconda colazione e poi dopo il passo della Presolana siamo rimasti soli, abbiamo dormito a Edolo, quindi abbiamo fatto lo Stelvio, il passo Resia, avevamo due mountain bike con i portapacchi e i bagagli, andavamo piano, ma andavamo».
Il Tirolo, il fiume Inn, la Baviera, l’arrivo a Bamberg, il benvenuto dell’amministrazione comunale, il coro della via che cantava Bella Ciao. «Se penso a quel momento mi vengono ancora i brividi. Noi abbiamo cantato con loro, è tutta una via che ha creato un coro e fanno le prove tre volte alla settimana, una cosa straordinaria». Quindi altri trecento chilometri e l’arrivo a Lipsia, l’incontro con i medici, la consegna della targa che aveva affidato ai ciclisti Felice Perani di Casnigo, che nella clinica di Lipsia ha passato tre mesi e alla fine è guarito.
Il viaggio è andato nel migliore dei modi, con un’unica pecca: arrivati sul lago nella zona dei castelli di Ludwig, i due ciclisti non hanno trovato un buco libero, nessuna locanda o albergo con una camera disponibile. Hanno dovuto dormire all’addiaccio. «E non avevamo nemmeno il sacco a pelo».