I retroscena e le domande ancora senza risposta sul coprifuoco notturno in Lombardia
Dopo l'ok del Governo, la Regione sta lavorando all'ordinanza. La decisione rappresenta un punto di incontro tra la preoccupazione degli esperti e le necessità dei vari territori. Sono però tanti i nodi da sciogliere
di Andrea Rossetti
La decisione è presa: coprifuoco dalle 23 alle 5 a partire da giovedì 22 ottobre. La proposta è stata avanzata, di concerto, dai sindaci lombardi, dal Consiglio regionale e dal governatore Attilio Fontana, il Governo (nello specifico il ministro della Salute, Roberto Speranza) ha detto sì. Un'opzione diventata, anzi che diventerà, un provvedimento teso a provare a limitare la crescita sempre più rapida dei contagi in Lombardia. Ma basterà? Sarà davvero utile?
Perché si è arrivati al coprifuoco
Quel che è certo, è che qualcosa di più di quanto previsto nel Dpcm annunciato dal premier Giuseppe Conte domenica 18 ottobre si doveva fare. Da qui la fitta serie di incontri tra i vertici regionali e gli amministratori del territorio. In mano a tutti il documento stilato dal Comitato tecnico-scientifico lombardo e dalla direzione generale del Welfare, necessario per avere un quadro sanitario della situazione. Quadro tutt'altro che ottimistico: se le cose continuano così, dicono gli esperti, entro fine mese saranno 600 le persone ricoverate in terapia intensiva in Lombardia (rispetto alle 113 attuali) e quattromila negli altri reparti. Sulla base di questi dati, i sindaci delle zone attualmente più colpite (il milanese, il varesotto e la Brianza) avevano proposto misure ben più drastiche, alle quali si sono però opposti i sindaci delle aree dove il contagio è più sotto controllo, tra cui anche la Bergamasca. È allora iniziata la ricerca di un compromesso, di un punto d'incontro.
L'ipotesi di colpire in maniera più dura solo le città e le province più in difficoltà è presto tramontata: troppo stretti i legami tra i vari territori per essere "recisi" da un mero provvedimento. Da qui l'idea di un provvedimento uniforme per tutta la Lombardia e la maturazione della proposta del coprifuoco dalle 23 alle 5, con spostamenti consentiti soltanto per motivi eccezionali, quali lavoro o urgenza. Per il dottor Antonio Pesenti, coordinatore dell’unità di crisi lombarda per le Rianimazioni, questa misura non basta, ma è un buon punto di partenza. Il coprifuoco, in realtà, sembra convincere poco gli esperti e i dottori, ma resta pur sempre una restrizione in più rispetto a quelle previste nel Dpcm, da molti ritenuto eccessivamente "soft" data la situazione.
Le tante domande ancora senza risposta
Adesso starà alla Regione e ai suoi tecnici trasformare la proposta in un vero e proprio provvedimento. Anche perché sono molte le domande aperte a cui dare risposta. Come detto, la volontà è quella di rendere operativa la misura dalle 23 di giovedì 22 ottobre fino almeno al 13 novembre. Fondamentale sarà chiarire le eccezioni al provvedimento: come accadde durante il lockdown, infatti, nelle sei ore del coprifuoco sarà possibile muoversi sul territorio lombardo soltanto in casi eccezionali, che però non sono stati al momento meglio specificati. Chi lavora, ovviamente, potrà farlo, ma come si dovrà giustificare la cosa? Sarà messa a punto un'apposita autocertificazione? Come verranno predisposti i controlli? Portare il proprio cane fuori varrà come eccezione dopo le 23?
C'è però un tema ancora più grande: quello dei locali. Bar e ristoranti, stando all'ultimo Dpcm, possono restare aperti fino alle 24 (dalle 18 in poi solo con servizio al tavolo), ma con il coprifuoco che dovrebbe scattare dalle 23 la situazione cambia. Se si vuole andare al ristorante, poi alle 23 bisognerà essere a casa. Dunque i ristoranti potranno restare aperti, ipotizziamo, massimo fino alle 22.45, cosa che li costringerà a rimodulare il loro servizio (difficile pensare, ad esempio, al doppio turno con la chiusura delle cucine a quell'ora). Infine, un ultimo dubbio: oltre al coprifuoco, la proposta lombarda avanzata al Governo prevede anche la «chiusura, nelle giornate di sabato e domenica, della media e grande distribuzione commerciale, tranne che per gli esercizi di generi alimentari e di prima necessità». Ciò significa che i centri commerciali resteranno chiusi nei fine settimana, a eccezione dei supermercati in essi presenti. Ma i negozi in città? Come precisa Repubblica, le leggi in vigore considerano strutture di media dimensione quelle tra i 151 e i 1.550 mq nei comuni con meno di diecimila abitanti e tra i 251 e 2.500 mq nei comuni con più di diecimila abitanti. Vedremo se queste prescrizioni verranno tenute buone anche nel nuovo provvedimento regionale.