Gotti controcorrente: sì al digitale, ma per noi di Bper Banca prima vengono le persone
Il direttore regionale: «Siamo un modello alternativo alle grandi banche. I dipendenti ex Ubi, come me? Si sono ritrovati in una realtà che permette loro di fare quello che sanno fare»
di Marco Oldrati
Luca Gotti cambia indirizzo: si sposta di una manciata di metri. Dalla sede della vecchia Popolare di piazza Vittorio Veneto all’adiacente piazza Matteotti, nell’ex Palazzo Fideuram, che fra sei mesi diventerà il quartier generale di Bper Banca nella nostra città. Da responsabile della Lombardia Ovest di Ubi, a guida della direzione regionale di Bper con sede a Bergamo.
Le dispiace per come è finita Ubi?
«Mi dispiace, ovviamente. Provo anche un sentimento di dolore. Io in Ubi ci ho lavorato 35 anni, ci sono cresciuto dentro, ho fatto tutti i passaggi dalla Popolare di Bergamo. Mi sento un “prodotto” della vecchia banca. Ho lavorato e continuo a essere in contatto con persone il cui spessore e il cui “attaccamento alla maglia” sono noti. Faccio i nomi di Alfredo Gusmini e Osvaldo Ranica, ma ce ne sarebbero tanti altri. Però devo anche dire che sono stato accolto bene da Bper, che mi dà fiducia. Cercherò di ripagare questa fiducia provando a fare del mio meglio».
Vi siete svegliati una mattina, c’eravate ancora quasi tutti, ma non eravate più voi...
«Non è così. I dipendenti ex Ubi, come me, hanno vissuto meglio del previsto la migrazione. In realtà si sono ritrovati».
Non si sono sentiti prima venduti, poi ricomprati?
«No. Si sentono in una nuova realtà che permette loro di poter fare quello che sanno fare. Ripeto: siamo stati ben accolti e c’è stata una collaborazione piena di tutta la banca».
Un passaggio indolore?
«È stata un’operazione impegnativa, non esente da difficoltà: le criticità sono quelle dell’adozione di modelli organizzativi leggermente diversi, ma la filosofia del “fare banca” è praticamente la stessa. È solo questione di adattamento, ma c’è stato e c’è un forte spirito di squadra. A me piace dire: “Equipaggio felice, barca veloce”. C’è stata un’identificazione positiva nel nuovo gruppo».
Che cosa significa?
«Innanzitutto il nostro modo di fare banca è una questione di persone: chi entra in uno sportello Bper trova le stesse facce che vedeva quando entrava in uno sportello Ubi. L’obiettivo è quello di mantenere inalterata la fiducia che esisteva e ce la stiamo mettendo tutta perché continui a esistere».
È cambiato tutto? O niente?
«Mi lasci essere un po’ pubblicitario: se prima Ubi voleva “fare banca per bene”, oggi Bper mira a essere “vicina oltre le attese”. L’attenzione, la professionalità, la dedizione sono quelle di un personale, di una rete che vive nel territorio non da oggi, e quindi contiamo di far sentire il cliente “a casa sua”».
Qualche disagio c’è stato...
«Sicuramente ed era inevitabile, non è facile pensare che ottantacinque filiali e un sistema digitale vadano a regime con uno schiocco di dita: ci sono state code agli sportelli, affollamenti sui siti, la necessità di spiegare a tanti clienti che cosa stava succedendo. Li ringraziamo per la loro pazienza. Le racconto un episodio: un nostro cliente è stato in coda per tanto tempo e alla fine ha parlato con la collega. Si è reso conto che l’impiegata stava cercando di fare tutto con impegno e cura. Quando è uscito le ha fatto portare un mazzo di fiori».
Hanno mandato da Modena solo due manager, vuol dire che comanderà lei?
«La volontà di Bper è valorizzare il personale del territorio, che sa interpretarne bene le esigenze. Inserire manager dell’Emilia è una scelta di equilibrio, con l’obiettivo di una piena integrazione».
Lei è un traghettatore. In che direzione?
«Nella direzione - non mi stancherò mai di ripeterlo - della centralità del rapporto umano. Viviamo in un’epoca in cui la relazione con la banca si è “dematerializzata”, per ragioni di economie di servizio, di cui beneficiano i conti ma non sempre i clienti». (...)