Il capo della Penitenziaria: «Troppi malati psichiatrici in carcere, situazione al limite»
Un detenuto su cinque è affetto da forte disagio psichico, poi ci sono gli psichiatrici veri e propri. Un agente controlla sessanta reclusi
di Paolo Aresi
È stata una stagione non facile per il carcere di Bergamo, che è finito sui giornali come uno dei cinque istituti più affollati d’Italia, per il suicidio di due detenuti e per l’aggressione di un altro contro cinque agenti di custodia che hanno riportato contusioni e leggere ferite. Abbiamo incontrato il capo della polizia penitenziaria della casa circondariale di via Gleno, Aldo Scalzo, dirigente aggiunto, arrivato a Bergamo dal gennaio 2020, proprio alla vigilia della pandemia.
A che punto è la situazione nel carcere?
«Migliorata rispetto all’estate perché c’è stato un ridimensionamento, da 532 siamo passati a cinquecento detenuti».
Ma quanti dovrebbero essere gli ospiti, in teoria?
«In teoria dovrebbero essere 315».
E gli agenti di custodia?
«Dovremmo essere 243, invece siamo 205. Può sembrare un numero alto, ma non è così. Bisogna pensare che gli agenti vanno divisi su tre turni, ogni giorno e che poi bisogna coprire anche i congedi, cioè le ferie. E che bisogna controllare diversi ambiti: il passeggio, le sezioni, i luoghi del lavoro. I detenuti sono divisi in tre padiglioni, quello circondariale, quello penale e il femminile. E poi esiste il circuito protetti. Aggiungiamo le incombenze degli uffici. Secondo uno studio fatto al dipartimento nazionale, il carcere di Bergamo dovrebbe avere trecento agenti. Insomma, siamo di molto sotto organico, ma non è una novità. Un agente deve controllare sessanta detenuti».
Caspita.
«Sì, è un numero elevato. Consideriamo che lavoriamo sei giorni su sette».
Ci spiega che cosa sono i padiglioni?
«Il padiglione circondariale ospita i detenuti in attesa di giudizio, c’è un ricambio continuo e costituisce la più grande parte del carcere. Poi c’è il penale con centodieci posti circa, sono detenuti che stanno scontando a Bergamo la pena. Con queste persone si riescono a sviluppare le attività di recupero più importanti perché sono destinati a fermarsi qui per un tempo lungo, stabilmente. Nel femminile abbiamo trenta ospiti. E il circuito protetti è invece quella parte di carcere dove stanno soggetti che hanno commesso reati che la popolazione carceraria non sopporta, soggetti che rischierebbero molto restando insieme agli altri».
Quali reati?
«Delitti che hanno a che fare con la violenza sessuale, ma anche la violenza contro bambini e genitori, per esempio. La popolazione carceraria è molto sensibile su questo tema. Attualmente abbiamo diciotto detenuti protetti e anche per loro sono necessari degli agenti dedicati, ventiquattro ore al giorno».
Negli ultimi mesi ci sono stati due suicidi, avete avuto l’emergenza Covid, di recente si è verificata una brutta aggressione contro gli agenti.
«È stato un periodo difficile. Fra i problemi scottanti, oltre al sovraffollamento, abbiamo la presenza di numerosi detenuti con disagio psichico e altri con problemi psichiatrici veri e propri. Tanto per dire, e può far ridere, abbiamo un detenuto che anziché parlare fa “miao miao”. Ma la presenza di detenuti con malattie mentali importanti crea tensioni e difficoltà a tutti».
Perché una situazione del genere?
«Prima c’erano gli ospedali psichiatrici giudiziari, ma sono stati chiusi e sono state create le Rems (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Soltanto che le Rems non accolgono tutti gli ospiti degli ospedali psichiatrici giudiziari e quindi diversi malati sono stati inseriti nelle carceri normali. È una situazione pericolosa. Il carcere è un luogo delicato, un luogo di umanità profonda, ferita, fragile, anche violenta. Bisogna averne molta cura».