Omicidio di Franco Colleoni, confermata in Appello la condanna a 21 anni per il figlio
La sentenza ha stabilito che è stato Francesco a uccidere il padre nel cortile della cascina. La difesa aveva proposto l'attenuante della provocazione
Confermata in Appello, oggi pomeriggio (venerdì 28 ottobre), la condanna a 21 anni di carcere per Francesco Colleoni, 35 anni, figlio di Franco Colleoni, 68 anni, ex segretario provinciale della Lega Nord, ucciso il 2 gennaio 2021 nel cortile della cascina di Dalmine dove abitava con i famigliari e che ospitava il suo ristorante. La vittima era stata assassinata sbattendogli violentemente la testa contro il cordolo di pietra del giardino e, fin da subito, c’erano stati dubbi sulla versione iniziale della difesa, che parlava di soggetti esterni introdottisi nella proprietà.
L'accusa aveva chiesto la conferma della condanna emessa a dicembre dell’anno scorso, mentre gli avvocati difensori Enrico Cortesi e Andrea Filipponi avevano invocato l’assoluzione. La Corte d’Appello, presieduta dal giudice Giulio de Antoni, dopo cinque ore di camera di consiglio ha deciso di confermare il giudizio in primo grado.
L’imputato aveva ammesso di aver litigato con il padre, di aver ricevuto da lui uno schiaffo e di averlo quindi spinto, ma aveva dichiarato che di quanto accaduto dopo non ricordava nulla. L'accusa ha parlato di omicidio commesso in seguito a uno «scatto d’ira scaturito da futili motivi, cioè due paletti dell’illuminazione trovati divelti».
L’omicida, secondo l’accusa, non è un soggetto esterno perché ha mostrato accanimento «compatibile con un rancore covato» e causato dai soprusi che negli anni il giovane aveva subito dal «padre-padrone», così definito nella sentenza di primo grado. «L’imputato ha voluto la morte, non si è fermato finché il genitore non è spirato», ha sostenuto la pubblica accusa per ribattere all’ipotesi di preterintenzionalità che la difesa aveva inserito nei motivi del ricorso.
Riguardo l’attenuante della provocazione, il procuratore l’ha ritenuta non concedibile «perché i pessimi rapporti col padre non possono costituire il fatto ingiusto da cui è scaturita l’ira». La difesa ha invece sostenuto che il suo assistito ha «agito al culmine di un’esasperazione dovuta al fatto ingiusto altrui», e cioè del genitore, descritto come violento anche dall’altro figlio Federico e dall’ex moglie Tiziana. In conclusione, la difesa ha rinnovato la richiesta di perizia psichiatrica esclusa dalla Corte d’assise di Bergamo, mentre l’accusa l’ha ritenuta non necessaria.