Dove può arrivare questa Dea? Il bello è che nessuno lo sa

Dove può arrivare questa Dea? Il bello è che nessuno lo sa
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Sono le 21.31 di un tranquillo martedì sera. Sulla chat di Facebook l’amico Giacomo (uno a cui per l’Atalanta gli si muovono le budella dalla mattina alla sera) mi scrive: «Fabio, ma secondo te, dove possiamo arrivare?». La domanda è complicata, perché dietro di essa si nascondono aspettative di una risposta che supporti i sogni di fine estate di un popolo che ha passato il mese di agosto a farsi magnificare gli occhi e il cuore da una Dea semplicemente fantastica. Il fatto, però, è soltanto uno: l’Atalanta, adesso, deve solo pensare ad arrivare a Copenaghen. Poi ai gironi di Europa League. Poi alla gara con il Cagliari. E via di questo passo.

 

 

Umiltà, pazienza e lavoro: il segreto per sognare. Gli obiettivi di una squadra, come quelli di un manager o delle persone semplici nella vita di tutti i giorni, vanno raggiunti, non annunciati e sbandierati. Siamo bergamaschi e conosciamo bene certi valori, però l’Atalanta è una roba che spalanca le porte della razionalità e manda tutti al manicomio. Non sorridete, pensate solo a come vivete lo stadio: di giorno con abiti da cantiere o in giacca a cravatta, la sera o la domenica tutti con la maglia di Caccia o di Doni o di chissà chi altro a cantare dentro lo stadio. È normale, si chiama passione. Quello che non deve mai mancare è il senso della misura e da questo punto di vista ha ragione Percassi: pensiamo a salvarci. Le parole del presidente sono un richiamo al percorso da fare senza correre con il rischio di cadere. Non c’è nessun modo per vincere lo scudetto a Natale o per andare in Champions a febbraio: tocca aspettare fine maggio e nel frattempo ci sono 36 partite di campionato (sicure) da giocare, un turno di Europa League e uno di Coppa Italia che andranno giocati: con quelle già disputate (7 gare tra campionato ed Europa), fanno 43 gare sicure. Speriamo diventino sessanta, ma in ogni caso restano una marea. Lavoro, lavoro e ancora lavoro.

 

 

Vietato volare troppo in alto, serve equilibrio. Pur comprendendo che è assolutamente normale il volo pindarico dei tifosi, non bisogna dimenticare che siamo all’alba della nuova stagione e nessun obiettivo, oggi, può essere delineato in modo definitivo o annunciato. Il lavoro di Gasperini è costante, non serve a nulla però parlare di scudetto dopo una vittoria o di retrocessione dopo una sconfitta. Del resto, non serviva a nulla nemmeno agitarsi prima della fine del mercato perché non erano arrivati gli Adnan o i Rigoni: i conti si fanno sempre alla fine. L’equilibrio nei giudizi non deve invece essere applicato al sostegno alla squadra allo stadio. Lì è doveroso presentarsi in massa e tifare la Dea come non avete mai fatto, perché l’unico posto in cui non serve stare sereni e tranquilli in attesa degli eventi è quello. Godetevi ogni singolo momento dell’Atalanta, non pensate a cosa potrebbe valere una vittoria al novantesimo ma spaccatevi le corde vocali al 16’ o al 77’: quello è il compito del tifoso. Ed è una fortuna già avere tanti minuti per godere della Dea. Ricordate gli 0-0 di Frosinone e Novara? Mai dimenticare da dove si viene. In campo, sui giornali e sugli spalti.

 

 

I valori ci sono, vanno messi in campo. L’Atalanta ha una buona squadra, abbondante in alcuni reparti e giusta in altri, ma complessivamente la gara di Roma ci ha confermato che non ci sono buchi evidenti. Adesso sta a Gasperini allenare e mandare in campo tutto quello che di meglio si può; il tecnico ha solo questo obiettivo, scegliere ogni volta i giocatori più forti e che stanno meglio, quelli che possono vincere la partita. Sembra un dettaglio ma non lo è: se merita Rigoni invece di Gomez, gioca Rigoni. Se merita Djimsiti invece di Palomino, gioca Djimsiti. Il vero problema sarà tenere tutti buoni quando ci saranno 7-8 attaccanti tutti a disposizione ma quando il Gasp dice dopo il 4-0 al Frosinone «non li metto in campo tutti, non cambiamo il nostro modo di giocare» chiama sostanzialmente tutti a rapporto e sottolinea come i valori ci sono ma poi vanno messi in campo. Con equilibrio e pazienza. Prima per battere il Copenaghen, poi il Cagliari, poi per la salvezza, poi per l’Europa League, poi per la Champions e poi per lo scudetto. Nessuno sa dove possiamo arrivare: facciamo la strada tutti assieme, lo scopriremo giorno dopo giorno.

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