Giupponi, direttore Ats, avverte: «Le Case di Comunità sono l'ultima spiaggia della sanità»
«Il caso Treviglio può ripetersi. Possiamo uscirne solo cooperando e ottimizzando le risorse». Il grazie alla dottoressa Cesa e al dottor Bulla
di Andrea Rossetti
Era il dicembre 2018 quando Regione Lombardia nominò Massimo Giupponi nuovo direttore generale di Ats Bergamo al posto di Mara Azzi. Dopo un anno tutto sommato “tranquillo”, Giupponi s’è trovato ad affrontare prima i casi di meningite nel Sebino (era il gennaio 2020), poi il Covid, che sappiamo bene che immane tragedia abbia rappresentato per la nostra provincia nella sua prima ondata. Quando le cose sembravano andare un pochino meglio, ecco abbattersi sulla Bergamasca l’enorme problema della carenza di medici di base. Che non è certo soltanto nostro, ma che qua si sta facendo particolarmente pressante, come ha evidenziato il caso emblematico di Treviglio, dove dopo il pensionamento praticamente contemporaneo di due dottori, Ats s’è vista anche costretta a interrompere per diversi giorni il servizio Cad (Continuità assistenziale diurna) per assenza di professionisti disponibili a ricoprire l’incarico e, dunque, offrire ai cittadini rimasti senza medico almeno un supporto minimo.
«Diciamo che non sono stato particolarmente fortunato - commenta sorridendo Giupponi -. Ovviamente, la prima ondata del Covid è stata una cosa incredibile, pesantissima anche dal punto di vista psicologico. Il problema della carenza di medici di Medicina generale, invece, era solo questione di tempo perché venisse a galla».
Sì, ma è un problema enorme.
«Sicuramente. E non è legato soltanto ai medici».
In che senso?
«La verità è che manca personale anche negli ospedali e nelle Rsa».
Anche gli infermieri sono pochi: in Bergamasca ne mancano mille, secondo le stime.
«I numeri vanno verificati, ma sì, mancano anche infermieri. E, a volerla dire tutta, in termini numerici la loro carenza è pure maggiore rispetto a quella di medici».
E le Case di Comunità rappresentano una possibile soluzione al problema?
«Voglio essere chiaro: non sono perfette, siamo all’inizio di un lavoro importante, bisogna lavorare ancora molto, ma è necessario capire che questa riforma rappresenta l’ultima chiamata per la sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale».
Addirittura?
«Con i problemi che stiamo affrontando, con la carenza di personale che c’è, il lavoro di squadra è una delle uniche possibilità. Se non si capisce che solo cooperando, ottimizzando le risorse, possiamo uscirne, allora è inutile anche cercare delle possibili soluzioni».
Il problema è che le Case di Comunità, sebbene molte siano già state inaugurate, al momento sono dei gusci vuoti.
«Siamo solo all’inizio del processo di cambiamento. Però non è vero che sono dei gusci vuoti. Il miglior esempio, in tal senso, è la Casa di Comunità di Borgo Palazzo, dove l’Asst Papa Giovanni, nello specifico la dottoressa Simonetta Cesa, ha fatto un lavoro incredibile. E lì alcuni servizi sono già attivi. Ma anche nelle altre strutture si sta lavorando velocemente».
Tipo?
«La telemedicina. Da Borgo Palazzo è già possibile effettuare dei teleconsulti con specialisti ospedalieri del Papa Giovanni e televisite. Nel primo caso, il medico di base può confrontarsi con un collega specialista su determinate situazioni, nel secondo può addirittura effettuare una visita direttamente con un paziente alla presenza (virtuale) dello specialista».
E questo che vantaggi porta?
«Stando alle prime stime, la telemedicina può ridurre fino al quaranta per cento, per talune patologie, il numero di visite in ospedale. Inoltre, più andremo avanti, più l’informatizzazione della medicina sarà importante».
Eppure i medici di base stanno utilizzando ancora poco le Case di Comunità.
«Sì, è vero. Ma presto ci sarà un accordo tra camici bianchi e Regione che sono certo renderà più chiari i parametri della collaborazione e darà quindi una bella spinta all’attività».
Resta il fatto che tutto questo non combatte la carenza di medici.
«Purtroppo la carenza c’è e non è sanabile in poco tempo. Bisogna lavorare su altri livelli per trovare soluzioni. Bisogna, ad esempio, intervenire sui modelli organizzativi. Attualmente c’è una struttura che definiamo “a silos”, che manca quasi totalmente di dialogo e collaborazioni trasversali. Serve cambiare questo punto. E le Case di Comunità vanno proprio in questa direzione». (...)