Attacco alla Regione

Case di Comunità, perché i medici di base bergamaschi non hanno firmato la lettera d'intenti

Marinoni: «Mancano dottori, ma la politica organizza passerelle». Pedrini: «Nessuno ha capito che cosa dovremo fare in queste strutture»

Case di Comunità, perché i medici di base bergamaschi non hanno firmato la lettera d'intenti
Pubblicato:

di Andrea Rossetti

In questo caso, il famoso dilemma di Nanni Moretti in Ecce Bombo avrebbe avuto semplice risposta. Senza alcun dubbio, l’assenza dei medici di base alla firma della “Lettera di Intenti” dell’8 aprile nella sede Ats Bergamo per le attività delle Case di Comunità s’è fatta notare molto più di una loro eventuale presenza. Anche perché, tra associazioni e Istituzioni, sono stati quasi cinquanta i firmatari del documento. Mancavano soltanto i camici bianchi, quindi.

Un’assenza che pesa, se si considera che le Case di Comunità, istituite con la recente riforma regionale della Sanità e contemplate a livello nazionale in un più ampio disegno di riorganizzazione della medicina del territorio, hanno nella presenza dei medici di famiglia un pilastro fondamentale del loro funzionamento. Com’è ormai noto, infatti, queste nuove strutture saranno dei presidi sanitari a cui rivolgersi in caso di necessità e nei quali trovare le prime risposte ai propri bisogni. Luoghi in cui diverse figure mediche (e, più in generale, sanitarie e sociali) dovranno collaborare e confrontarsi, cercando di offrire ai cittadini risposte rapide e, parallelamente, evitando il sovraccarico di pronto soccorso e ospedali. La domanda, quindi, sorge spontanea: perché i medici di base bergamaschi hanno deciso di non firmare?

Guido Marinoni

«Una lettera inutile»

«Immagino che l’abbia letta. Se l’ha letta, ha già anche la risposta», commenta laconicamente Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Bergamo. Nella specifico, il documento redatto da Ats e sottoscritto alla presenza anche della vicepresidente e assessore regionale al Welfare, Letizia Moratti, va a “normare” il «coinvolgimento degli enti del terzo settore e delle associazioni di volontariato per l’integrazione delle attività previste nelle Case di Comunità». Dove sta il problema? «Nel fatto che è un testo inutile - dice Marinoni -. La Bergamasca sappiamo bene quanto sia attenta e generosa in tema di volontariato (è Capitale del volontariato 2022, ndr). Non c’è bisogno di una lettera per sancirlo».

Per Marinoni, quindi, si è trattato di un atto inutile. «Una passerella, ecco cos’è stata. Sa cosa infastidisce? L’assenza di sobrietà. Fare finta che tutto vada bene. La Moratti ha addirittura detto che “il modello Bergamo va esportato”. Ma quale modello? Noi medici siamo pronti a collaborare, purché ci sia un atteggiamento serio». Il presidente dell’Ordine spiega anche che la decisione di non firmare non è stata presa da lui: «Quando ho ricevuto il testo, l’ho sottoposto al Consiglio». Qual è stata la reazione? «Diciamo non elegantissima...» (ride, ndr).

Paola Pedrini

I medici e le Case di Comunità

La questione non è di poco conto. Di fatto, ancora nessuno ha spiegato quale sarà il ruolo dei medici di base nelle Case di Comunità e come questi professionisti dovranno “relazionarsi” con queste strutture. «So che pare assurdo, ma non lo so neppure io», dice Paola Pedrini, medico a Trescore e segretario regionale della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale). Pedrini spiega che «con Regione è iniziato un dialogo, ma siamo ancora lontani dall’avere risposte concrete. Il ruolo di noi medici nelle Case di Comunità non è affatto chiaro. Anche perché le Regioni stanno ancora chiarendo diversi punti con il Governo». Eppure diverse strutture sono già state inaugurate. Tre nella nostra provincia: una in Borgo Palazzo, a Bergamo, una a Gazzaniga e una a Calcinate. (...)

Continua a leggere sul PrimaBergamo in edicola fino a giovedì 21 aprile, o in edizione digitale QUI

Seguici sui nostri canali