Cruda verità

Un ex detenuto del carcere di Bergamo: «Gli albanesi della "sesta" dettano legge»

Un 57enne, rimasto dentro sette mesi, racconta: «Godono di privilegi e potere. Avevano alcol e coltelli. Le guardie sono troppo poche»

Un ex detenuto del carcere di Bergamo: «Gli albanesi della "sesta" dettano legge»
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di Clara Scarpellini

«Ci sentivamo come animali, trascurati e ammassati finché si può». Sono note le condizioni critiche in cui versa il carcere di Bergamo, in via Gleno. I problemi spaziano dal sovraffollamento dei detenuti al numero insufficiente del personale di Polizia penitenziaria, dalla quasi totale assenza di mediatori linguistici per gli stranieri al mancato supporto psicologico e psichiatrico interno.

La rieducazione, cioè il reinserimento in società, di chi ha commesso reati dovrebbe essere la funzione primaria della carcerazione. Tuttavia, questo obiettivo diventa difficile da raggiungere quando le condizioni sia del personale penitenziario che dei detenuti sono insostenibili. Michele (nome di fantasia per richiesta dello stesso) è un ex detenuto del carcere cittadino, di 57 anni, che ha scontato una pena per truffa e che ha accettato di raccontare l’esperienza vissuta nei suoi sette mesi di reclusione.

Il dominio de “la sesta”

«Arrivato in carcere, ho capito subito che le guardie erano troppo poche e che chi comandava davvero era un intero raggio di detenuti. Li chiamavano “gli albanesi”, o “la sesta”». Si tratta - appunto - della numerosa sesta sezione del carcere, composta principalmente da persone straniere, molte di origini albanesi. Proprio questi ultimi, secondo Michele, godono di alcuni privilegi e potere all’interno della prigione.

«Avevano alcol, telefonini e coltelli. Lo vedevamo tutti, ma nessuno prendeva provvedimenti perché temevano delle ripercussioni. Loro dettavano le regole e schernivano gli altri detenuti senza risparmiare nessuno, nemmeno gli anziani o chi aveva evidenti problemi mentali. Piccoli dispetti e prepotenze erano all’ordine del giorno e alla lunga diventavano davvero pesanti: controllavano i turni per parlare al telefono con i familiari; la doccia dovevano farla prima loro con chi volevano, poi toccava agli altri; nell’atrio si poteva giocare a pallone, ma sceglievano loro chi poteva partecipare. Per evitare problemi, io ho iniziato stare in cella anche nei momenti liberi».

I problemi del sovraffollamento

I dati del Ministero della Giustizia aggiornati al 31 gennaio 2023 parlano chiaramente della situazione allarmante in cui versa il carcere di Bergamo: il sovraffollamento dei detenuti rispetto allo spazio disponibile ha raggiunto il 167 per cento, con 534 detenuti su 319 posti. Al suo arrivo, a Michele era stata assegnata una piccola cella di circa tre metri quadrati che ospitava tre brande a castello prive di qualsiasi protezione ai bordi. L’unico letto libero era quello più in alto. Una notte cadde dalla branda, procurandosi dolori in tutto il corpo e dovette insistere più volte per farsi visitare il braccio in infermeria. Oggi è uscito da prigione, ma sta ancora pagando il prezzo dell’infortunio e a breve dovrà sottoporsi a un intervento per risolvere il problema.

Del resto, il sovraffollamento non può che causare delle pessimi condizioni di vita nelle celle: «Gli spazi erano troppo piccoli per il numero di persone che c’erano. Tutto il giorno si sentiva un odore pungente di ambiente affollato, soprattutto d’estate. Questo perché noi prigionieri non eravamo tenuti a seguire precise norme igieniche (...)

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