Il misterioso fondo Parvus, che detiene l'8% delle azioni di Ubi. Uno spettro sull'Ops
Ha sede a Londra ma parte del suo tesoretto è nascosto nel paradiso fiscale delle Cayman. Consob e procura di Milano indagano per capire se a riempire questa cassaforte ci siano le stesse famiglie bergamasco-bresciane di Ubi
di Andrea Rossetti
In una partita come quella tra Intesa Sanpaolo e Ubi Banca, nella quale il primo istituto di credito italiano sta tentando di acquisire il quarto, c’è in gioco per forza di cose il destino dell’intero sistema bancario (e finanziario) nostrano. Se Bergamo e Brescia rappresentano lo stadio della disfida, data la provenienza dei grandi azionisti privati di Ubi, in realtà è l’intero Paese a essere seduto sugli spalti. Anzi, l’Europa. E un posto a sedere, all’apparenza defilato, se lo sono preso pure le Isole Cayman. Perché il fondo Parvus, insieme a Silchester, è il principale azionista istituzionale di Ubi con circa l’8 per cento delle azioni e sebbene la sua sede sia a Londra, parte del suo tesoretto (coperto da assoluta segretezza) è sotterrato nelle calde isole caraibiche del paradiso fiscale per eccellenza.
Dato il suo peso nell’azionariato di Ubi, il ruolo di Parvus nell’Ops in corso è elevato. Se si dovesse ragionare sulla base della mera logica finanziaria, non è complicato intuire quale sarà la decisione del fondo londinese-caymano: l’adesione all’offerta di Intesa, così come per gli altri fondi istituzionali che detengono azioni di Ubi. Lo dicono tutti gli analisti; lo dice l’obiettivo stesso dei fondi, che è quello di massimizzare il guadagno per i propri investitori. Se ancora non si sono mossi, è soltanto perché aspettavano che Intesa rilanciasse l’offerta, aumentando con una parte cash il premio. Ora che questo passo è stato compiuto, si attendono riscontri da parte dei fondi. Eppure l’esito della decisione di Parvus non è affatto scontata.
Dietro a questa cassaforte con sede al 7 di Clifford Street, Londra, c’è il fondatore e proprietario Edoardo Luigi Raphael Mercadante, personaggio schivo e per lo più sconosciuto nel mondo dell’alta finanza internazionale. Il quale, però, detiene attualmente una fetta decisamente importante della quarta banca italiana. Mica poca roba. Quel che non si sa, invece, è chi c’è dentro a questa cassaforte chiamata Parvus. Un punto fondamentale, su cui sia la Consob che la Procura di Milano, nelle ultime settimane, hanno iniziato a indagare. Perché l’ipotesi è che gli investitori di Parvus non siano, come ha affermato Mercadante in una delle sue rarissime dichiarazioni (rilasciate a Reuters), «statunitensi, tipicamente investitori long-only, come università o fondazioni», bensì alcune di quelle stesse famiglie bergamasche e bresciane che già detengono azioni di Ubi.
Se questa tesi fosse vera, Parvus diventerebbe un ago della bilancia fondamentale nell’Ops: schierandosi con i membri del Car (Comitato azionisti di riferimento) e del Patto dei Mille che più strenuamente si stanno opponendo all’operazione, il fronte del “no” a Intesa arriverebbe intorno a quota trenta per cento, ostacolando molto il progetto di Ca’ de Sass. Allo stesso tempo, però, se si provasse che gli imprenditori dietro Parvus sono gli stessi già presenti nel Car (o comunque si provassero dei contatti diretti), allora la soglia del 25 per cento delle azioni della banca detenute verrebbe superata e si profilerebbe un concerto, ovvero un accordo occulto, con conseguente obbligatorietà per i pattisti di lanciare un’Offerta pubblica d’acquisto su tutto il capitale di Ubi. Anche per questo motivo, ipotizza qualcuno, nell’assemblea di Ubi dell’8 aprile scorso Mercadante ha “portato” soltanto il 5 per cento del portafoglio Ubi e non tutto l’8 per cento: in questo modo la soglia del 25 per cento non verrebbe raggiunta.
Va detto che c’è anche la possibilità che non tutti gli investitori di Parvus siano sulla stessa linea (pro o contro) circa l’Ops, cosa che potrebbe spiegare quest’ultima incongruenza. Del resto, Parvus detiene il pacchetto di azioni come gestione indiretta non discrezionale del risparmio. Questo significa che, pur avendo in mano le azioni, alla fine a decidere come utilizzarle sono i titolari effettivi di quelle quote e non Mercadante. (...)