Dalle cucine del Byron a quelle della Open Arms: «Ho fatto una scelta di vita»
Il 38enne bergamasco ha girato il mondo e lavorato anche in ristoranti stellati. Poi, due anni fa, ha cambiato “clientela”. Ha partecipato alla missione grazie a cui l’ong spagnola ha portato in salvo 265 migranti (di cui 50 minorenni) a Porto Empedocle
di Fabio Cuminetti
Era stanco di cucinare semplicemente per chi se la passa bene. Il mestiere di chef gli piace, ma l’amore per l’avventura e la sensibilità sociale l’hanno portato lontano dai ristoranti. In mare, per la precisione in acque internazionali, là dove si salvano vite umane in fuga da guerre, persecuzioni e miseria. Parliamo al telefono con Cristiano Grazioli, 38 anni, quando la nave di Open Arms, lunedì 18 gennaio, ha finalmente attraccato a Porto Empedocle dopo 5 settimane senza mai sbarcare. Da 14 giorni l’imbarcazione dell’ong spagnola era davanti alle banchine siciliane, dove ha messo in salvo 265 migranti (di cui 50 minorenni) recuperati nei giorni scorsi in diverse operazioni di soccorso nel canale di Sicilia.
Cristiano è di Bergamo: via Cerasoli, per la precisione, parallela di via Carducci. Parla italiano con forte accento spagnolo, perché da anni vive tra le Canarie e la Catalogna. Ma qualche cadenza orobica ancora si nota: «Non dico pota, ma f..a sì. Anzi, l’ho contagiato al resto dell’equipaggio». Ed è un gran lavoratore, inevitabilmente. Ha fatto il liceo artistico in città, ma dopo la maturità è subito partito per un’esperienza a New York come street painter (pittore di strada). Quindi ha cominciato a lavorare all’estero in maniera più strutturata, come animatore di villaggi turistici in Egitto e alle Maldive, per poi cambiare settore, dedicandosi alla cucina e costruendosi un bel curriculum tra Italia e Spagna (nove anni a Tenerife), partendo della gavetta per arrivare fino a ristoranti stellati. «Se ti racconto tutta la mia storia potresti scrivere un libro», scherza.
I primi passi ai fornelli li ha mossi proprio a Bergamo, al Byron di via Palma il Vecchio: «Il mio maestro è stato Simon Maringoni, figlio del titolare Dorilio - ricorda -. Nella mia famiglia in molti si dilettano di cucina e proprio dopo un corso seguito con mia madre ho abbandonato la pittura. Ma la creatività resta: la applico ai piatti, anche se sulla Open Arms non c’è molto spazio per la fantasia. Le priorità sono altre: bisogna garantire un’alimentazione energetica e che piaccia a tutti. Ogni missione è diversa e ci si ritrova ad avere a che fare con persone con gusti differenti». Ha creato anche un programma per calcolare, a seconda del numero di vegani, vegetariani e onnivori presenti a bordo, il numero di ordini da fare.
Cristiano si occupa esclusivamente di preparare da mangiare per l’equipaggio: ha un contratto come head chef delle missioni, ora, giunto dopo un anno e mezzo da volontario, senza prendere un soldo. Sarà poi l’equipaggio, in base a disposizioni sanitarie precise, a fornire i pasti ai migranti di bordo: si usano vaporiere per cucinare riso basmati con verdure e couscous con brodi, di solito. «In questa ultima missione, però, ho dato una mano in un’operazione di salvataggio, aiutando la gente sui gommoni a salire a bordo. In quel caso ho anche servito un pasto. A breve dovremmo essere dotati di un forno rational, elettrico e programmabile, per agevolare la preparazione».
Il contatto con l’ong è avvenuto oltre due anni fa a Barcellona, dove Cristiano stava lavorando in un ristorante di alto livello. Era stanco di stare a stretto contatto con i «fighetti», come dice lui ridendo: voleva fare qualcosa per chi ha davvero bisogno. Così ha fatto domanda per imbarcarsi su Open Arms. Dopo qualche mese è stato chiamato. Era in mare anche durante il lockdown: per tre mesi l’equipaggio è dovuto rimanere a bordo, e Grazioli con loro. «Vivere costantemente con 20 persone non è facile, anche perché io sono molto preciso nel mio lavoro: bisogna abituarsi a chi, magari, ti lascia la cucina sporca. Sembra quasi di essere concorrenti al Grande Fratello. Poi naturalmente si creano amicizie, a volte nascono anche storie d’amore. Ci sono persone fantastiche. Quando dobbiamo passare i periodi di quarantena obbligatori passiamo il tempo libero facendo karaoke, crossfit, yoga, guardando film, perché altrimenti ci annoieremmo. In ogni modo io penso più al lato lavorativo: ci tengo alla professionalità». L’ultima quarantena, in particolare, è stata pesante: «Ci hanno lasciato a due miglia dalla costa, in balia delle onde, per dieci giorni: la guardia costiera e il Comune di Porto Empedocle sono stati davvero poco disponibili con noi».
Le ispezioni delle autorità portuali, una volta attraccati, sono molto severe: «Una volta ci hanno bloccato per un mese e mezzo. Assurdo. Anche perché oltre a noi c’è solo la Ocean Viking della ong Sos Mediterranée che si occupa di salvataggio in mare. Siamo in contatto con un’altra ong, Colibrì, che setaccia in aereo la zona Sar (area di competenza in cui un Paese è tenuto a prestare soccorsi, ndr) e ci segnala ogni avvistamento».
A chi pensa che i migranti dovrebbero stare a casa loro risponde: «Tutti vogliono stare a casa propria. Se non lo fanno, e se mandano 50 minori senza genitori sui barconi, vuol dire che la situazione è insopportabile. Nell’ultima nostra missione sono morte tre persone e un bebè di sei mesi che la madre non è riuscita a salvare: una scena straziante». Ora per Cristiano è arrivato il tempo di staccare per un po’: il suo contratto prevede un mese di lavoro e uno di riposo. Ne approfitterà per preparare i nuovi ordini e dare vita a una squadra preparata di cuochi volontari professionali. Mai fermo, da buon bergamasco.