Intervista

Elio: «A luglio suoneremo a Bergamo per il concerto di fine pandemia, se tutto va bene»

Elio venerdì 18 febbraio porta in scena “Ci vuole orecchio” al Creberg Teatro: «Jannacci racconta una Milano poco nota all’esterno, più vera»

Elio: «A luglio suoneremo a Bergamo per il concerto di fine pandemia, se tutto va bene»
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Di Fabio Cuminetti

Concerto-spettacolo venerdì 18 febbraio al Creberg Teatro: alle 21 va in scena “Ci vuole orecchio” in cui Elio “Canta e recita Enzo Jannacci”, come recita il sottotitolo. Grazie alla coloratissima scenografia di Giorgio Gallione (anche regista) e agli arrangiamenti di Paolo Silvestri, il leader delle Storie Tese porta in scena assieme a cinque musicisti il repertorio del “poetastro”, come amava definirsi, arricchito da scritti e pensieri di quelli che furono i suoi compagni di strada reali o ideali: da Beppe Viola a Cesare Zavattini, da Franco Loi a Michele Serra, da Umberto Eco a Dario Fo.

Jannacci è stato il cantautore più eccentrico e personale della storia della canzone italiana, in grado di intrecciare temi e stili apparentemente inconciliabili: allegria e tristezza, tragedia e farsa, gioia e malinconia. E ogni volta il suo sguardo, poetico e bizzarro, è riuscito a spiazzare, a stupire. Elio ne è in parte un erede, anche se con il gruppo che lo ha reso celebre ha sempre pigiato più sul pedale della goliardia.

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Che atmosfera si respira in questa fase di ritorno a teatro?

«Sento una grandissima voglia del pubblico di ritornarci, un entusiasmo anomalo. E per noi è un ritorno alla vita, alla normalità, anche se ancora di normalità piena non si può parlare. Un ritorno a quello che ci piace fare: una grande gioia».

Lei è cresciuto a pane e Jannacci, ha detto.

«Sì, anche perché mio padre era in classe con lui. Un caso pazzesco. È stato una fonte d'ispirazione per me, lo ascolto da sempre: è nel mio Dna. Mi piace moltissimo cantarlo ed è uno dei motivi per cui mi sono lanciato in questo spettacolo. Ed è una soddisfazione vedere tantissima gente attirata, ammirata e alla fine quasi sorpresa da Jannacci, che non è mai stato un cantante di massa, a parte alcuni grandi successi, quindi in gran parta la sua produzione è poco conosciuta. È sempre stato fuori dai canoni, per questo mi ha attirato».

C’è anche una grande riscoperta di Gaber, negli ultimi anni. Anche lei, del resto, ha portato in scena "Il Grigio".

«Infatti questo ultimo spettacolo segue l'altro, ed è un altro tassello della mia collaborazione con Giorgio Gallione, che ha cominciato con i Broncoviz. E infatti quando abbiamo partecipato al programma "L'Italia di Crozza", su La7, c'entrava anche lui. Dopo il musical degli Addams, in cui c'era anche Geppi Cucciari, Gallione mi ha praticamente costretto a fare Gaber».

Gaber e Jannacci erano amici.

«Sì, hanno anche cominciato insieme. Poi hanno preso strade diverse. Gaber ha trattato temi più facili da classificare come impegnati e ha raggiunto livelli elevatissimi. Jannacci si è mantenuto in un mondo più assurdo, fuori da ogni giro: uno svantaggio, per la sua notorietà. Racconta una Milano poco nota all'esterno, ma per chi ci abita corrisponde molto di più alla realtà rispetto a quella semplice immagine fatta di efficienza, affari, moda. Ha narrato la parte più intima, e l'ha fatto inserendoci un bel po' di follia. Ma Milano, del resto, è una città folle».

Vi siete mai incontrati?

«Quando avevo 12 anni sono stato operato di appendicite alla clinica Mangiagalli, dove lavorava lui. Ma quando è passato a controllare i pazienti io era sotto anestesia e dormivo. L'ho incrociato una volta nei camerini della Rai, più avanti».

A proposito di personaggi originali: lei ha fatto uno spettacolo col direttore bergamasco del Donizetti Opera, Francesco Micheli: "Opera Horror Picture Show"...

«Mi ha appena lasciato un messaggio vocale per dirmi una cosa ma non si capiva niente, forse era in moto o in bici e c'era vento... Be', se non fosse così particolare non saremmo amici».

Cosa direbbe "mio cuggino" della pandemia?

«Racconterebbe eventi sovrannaturali che sono avvenuti a causa del virus. Ma ce ne sono tanti in giro: "mio cuggino" è l'antesignano delle fake news».

Dopo "Litfiba tornate insieme" qualcuno dedicherà una canzone anche alla reunion di Elio e Le Storie Tese?

«Ma in realtà non ci siamo mai sciolti: ci vediamo sempre, facciamo anche delle cose insieme, abbiamo semplicemente interrotto un cammino che stava andando avanti in modo un po' ripetitivo. Ma siamo contenti che un sacco di gente ci chieda di tornare insieme. Visto che c'è tanta aspettativa, però, lo faremo solo quando c'è qualcosa in ballo che ne valga davvero la pena. Come il concerto di fine pandemia a Bergamo, in cui ci aveva coinvolto il Trio Medusa. Poi è stato rinviato perché la pandemia non vuole finire; ma se finisce, come alcuni scienziati dicono, ci vedremo proprio tutti insieme lì da voi».

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