La fine di un'epoca

«Formidabili quegli anni», quando al Bar Cinto di Leffe ogni caffè era una sfida

Il locale di Piazza Libertà d'ora in poi sarà solo ristorante: nelle sue sale gli imprenditori locali hanno scritto la storia. Miro Radici: «Era un po' come nel rugby: grande rivalità sul campo e nel lavoro, ma rispetto e amicizia ai tavolini, giocando a terziglio e quadriglio»

«Formidabili quegli anni», quando al Bar Cinto di Leffe ogni caffè era una sfida
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di Giambattista Gherardi

Luoghi del cuore e della storia, che hanno segnato la socialità di un tempo e indirizzato l’evolversi di anni ruggenti e forse irripetibili. Sulle piazze principali di Gandino e Leffe si affacciano locali storici (rispettivamente il Caffè Centrale ed il Bar Cinto) che ultimamente hanno “cambiato pelle”, divenendo apprezzati ristoranti e lasciando all’album dei ricordi i ritrovi popolari ai tavolini. Un segno dei tempi, che a Gandino ha visto trionfare le specialità a base di Mais Spinato (il Caffè Centrale “La Spinata” ne è indiscusso santuario), mentre a Leffe ha visto crescere il Ristorante Al Cantuccio guidato dal 2006 da Luca Parolini, unitamente al padre Mario e, soprattutto, alla squisita cucina di mamma Marilena Castelli. «Cari clienti - hanno postato sui social i responsabili di quello che fu il Bar Cinto - da martedì 14 dicembre il servizio bar non sarà più attivo. E’ stata una scelta ponderata e faticosa, ma al momento inevitabile per gestire, organizzare e curare al meglio il nostro servizio del pranzo e della cena. Un grazie particolare ai nostri clienti del bar che, in tutti questi anni, ci hanno fatto sentire speciali».

Ironia della sorte proprio in quei giorni veniva presentato il libro di Silvana Galizzi (ed. Litostampa - Moma Comunicazione) intitolato «Un caffè da Cinto. Gianni Radici». Una biografia del grande industriale, ma anche la conferma di quanto quel “luogo del cuore” sia stato un crocevia della vita leffese. Gli anni del boom industriale, qui più che altrove, segnarono cambiamenti epocali nel benessere e nella geografia dei luoghi: a Leffe e nell’intera Val Gandino sorsero ovunque capannoni e manifatture, con migliaia di addetti che davano forza al ruggito imprenditoriale del tessile.

Il Bar Cinto a Leffe, oggi Ristorante Al Cantuccio

«Il Bar Cinto - ricorda Miro Radici, fratello di Gianni ed ultimo esponente in vita dei figli di Pietro e Maria Radici - era un punto di ritrovo obbligato. Al tempo la pausa di mezzogiorno era sacra: alle 12, qualsiasi cosa si stesse facendo in fabbrica, si andava a casa a mangiare. Era però una pausa breve, perché alle 12.30 (o anche prima) tutti si ritrovavano per il caffè da Cinto, altrettanto sacro, e magari per una partita a carte. Allora si giocava a quartiglio e terziglio, varianti ruspanti del nobile bridge. C’era un’atmosfera incredibile: era a suo modo la celebrazione di una sana rivalità, positiva e motivante. Per certi versi era un po’ ciò che avviene negli sport anglosassoni come il rugby: sul campo (a Leffe avveniva nel lavoro) la battaglia era dura e determinata, ma poi negli spogliatoi (il Bar Cinto) c’era l’incredibile piacere di ritrovarsi, rilanciando magari sfide in bicicletta o sugli sci».

Miro Radici nel suo ufficio a Cazzano S.Andrea

La sala e il soppalco del Bar Cinto meritarono, secondo i ricordi dell’ingegner Gianfranco Calderoni oggi proprietario dello stabile, l’appellativo di “Mediobanca di Leffe”. Il nome del locale era probabilmente legato a Giacinto Calderoni, nonno di Gina e Bice che seguirono l’attività, lasciandola poi nell'ultimo scorcio del secolo scorso ad Aldo e Cesare Zenoni, figli di Gina.

Il Bar Cinto era il crocevia obbligato di trattative commerciali, investimenti, acquisto di stabili o accordi di filiera. Tutto sulla parola. Un locale a suo modo “esclusivo”, non certo per il lusso delle sale, come sintetizzava nel 2014 il poeta Romano Bertasa in una sua filastrocca: «Al Ristorante Cinto entravan solo i sciòre, accompagnati da splendide signore… castane, bionde e more”. Si era davvero nel pieno del boom industriale: basti pensare che a Gandino nel 1956 si decise di installare sulla facciata del municipio un enorme orologio, tuttora presente. “La spesa non indifferente - recitava la delibera di allora - è giustificata dalla necessità di avere un orologio che dia la possibilità agli operai di recarsi al lavoro senza ritardi».

Sciatori leffesi negli anni '70: al centro Gianni Radici

«Il lavoro e la ricerca del benessere - ricorda ancora Miro Radici, classe 1941 - erano totalizzanti. Si vivevano anni di costante competizione, con un legame profondo e indissolubile al paese. Le seconde case degli imprenditori non erano mai in luoghi esotici o di grido, ma sul Farno o sul Monte Croce, mai troppo lontane dai telai. Ricordo come mio fratello Gianni faticasse a prendersi periodi di vacanza prolungati lontani da Leffe: dovunque si recasse, dopo qualche giorno (magari con una scusa) doveva rientrare in Val Gandino, dai suoi operai e, magari, dagli amici del Bar Cinto».

La demolizione del palazzo della Sciura Lisa nel 1972

Alle pareti del bar molti ricordano appesa una tavola in legno con una semplice scritta: “La cosa più bella fatta dai leffesi è stata la piazza”. Il riferimento era alle vicende del 1972, quando con un “colpo di mano” (condiviso da gran parte della popolazione) fu abbattuto il fabbricato “della Sciura Lisa”, che creava un’ostica strettoia davanti alla parrocchiale di San Michele, rendendo difficoltoso il frenetico transito di auto e furgoni. In quella zona c’erano la bottega di Maria Mea, il chiosco dell’Edicola Pezzoli, la macelleria di Giacomo e Rosina Bosio. Minor fortuna ebbe in epoca più recente l’Hotel Sharon (poi Gabbiano d’Argento) costruito appena fuori dal centro, verso San Rocco. «L’idea nacque con Gaetano Pezzoli - ricorda Miro - che organizzò un’inaugurazione in grande stile alla presenza di Pippo Baudo. Vent’anni dopo il presentatore mi riconobbe allo stadio di Bergamo, in occasione di una partita dell’Atalanta». L’albergo non è mai decollato, nonostante varie gestioni e un periodo in cui vi alloggiavano le nazionali pallavolistiche che si allenavano al Centro Sportivo Consortile di Casnigo. Forse c’era il dubbio, in molti imprenditori locali, che portando i clienti in albergo a Leffe, essi avrebbero potuto incrociare qualche concorrente locale.

L'incanto della Madonnina in una foto d'archivio

Erano gli anni di una Leffe che “voleva e poteva” e con una voglia di stupire che si esaltava, per esempio, nella devozione alla Madonna Addolorata, o meglio alla “Madonnina”, celebrata alla quinta domenica di quaresima. Una festa che un tempo salutava i “Coertì”, gli ambulanti tessili che raggiungevano ogni angolo d’Italia, e che negli anni del dopoguerra era caratterizzata anche da una vera e propria asta che si teneva in sacrestia, per acquisire il diritto a portare in processione il trono della Vergine. A guidare quel “rito profano” ci fu per anni “Petral” Zenoni. «I rappresentanti di arti e mestieri del paese - ricorda Miro Radici – si ritrovavano e coordinavano. Tutti erano concordi nel devolvere offerte significative per le opere parrocchiali (in quegli anni sorse anche il nuovo oratorio, ndr), ma si aggiungevano orgoglio e competizione per aggiudicarsi il diritto a portare la statua. Il compito veniva poi affidato ai familiari, agli amici o, soprattutto, ai propri operai”. Con Miro Radici la chiacchierata si allarga all’Atalanta (“io dico che arriveremo secondi dietro l’Inter, anche se non mi aspettavo la sconfitta con la Roma”) e all’economia globale (“la Leffe del dopoguerra era ciò che la Cina è oggi”). Sano realismo, senza rimpianti. Per dirla con Vecchioni: “Formidabili quegli anni, formidabili quei sogni».

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