La città merita musica

Berta: «Forza, diamo a Bergamo il ritmo di Springsteen»

Berta: «Forza, diamo a Bergamo il ritmo di Springsteen»
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In copertina, Giorgio Berta, a sinistra, con il direttore artistico del Bergamo Jazz Festival, Dave Douglas. Nel pezzo, foto dei lavori al Donizetti dell'11 agosto 2018 e dell'ultima Donizetti Night.

 

Giorgio Berta, 57 anni, si è laureato all’Università di Bergamo in Economia e Commercio. È consigliere dell’Ordine dei Commercialisti di Bergamo, presidente del Cda e amministratore di numerose società di capitale pubbliche e private, presidente della Fondazione Donizetti, presidente del Tennis Club Bergamo, socio fondatore dell’Associazione “Bergamo racconta”, presidente del sito di informazione Bergamonews. Dal 1988 collabora con l‘Università, dove insegna economia dei gruppi societari in qualità di docente a contratto. Nel tempo libero si dedica anima e corpo alla musica. Online, si firma Brother Giober (che sta per “fratello Giorgio Berta”) e le sue critiche discografiche sono tra le più cliccate del web. Ha visto tutti i concerti italiani di Bruce Springsteen. «La passione per il Boss – dice Berta – nasce per caso ormai una quarantina di anni fa, quando mia sorella mi portò di ritorno dagli Stati Uniti un disco di un tipo che lei definiva il nuovo Bob Dylan». 

 

Qualche mese fa, ad aprile, è nata l’associazione “Bergamo racconta”. Tra i soci fondatori, Giorgio Berta, professione commercialista, lo studio nel palazzo dell’ex Enel di via Mazzini. Il soffitto e le finestre alte come in un loft di Manhattan. Alle pareti, due gigantografie: Neil Young con Tom Waits e Bruce Springsteen con la E Street Band al completo sul palco di uno stadio d’Oltreoceano. «L’idea di dar vita a questo organismo nasce per puro caso – racconta –. Luglio dell’anno scorso: insieme con altri amici decidiamo di organizzare una giornata intitolata a Bruce Springsteen, passione che ci accomuna. E così il 2 settembre 2017, agli Spalti di Sant’Agostino, teniamo un evento che riscuote grande successo. È lì che decidiamo di fare qualcosa in più per la nostra città».

Quale motivazione vi spinge?
«A Bergamo ci sono pochi eventi musicali. Gli organizzatori ormai non organizzano più, ma li capisco perché per promuovere la musica ci vogliono, mezzi, risorse e investimenti che possano sostenere il rischio di impresa. Quindi ci vuole un movimento che rivitalizzi tutta la scena. Costituiamo “Bergamo racconta” con l’idea di promuovere la cultura a Bergamo, raccontare le storie relative a musicisti, scrittori, prevalentemente bergamaschi ma non solo. E soprattutto per rendere possibile l’organizzazione di eventi. La nostra è una città a vocazione turistica. Per invogliare la gente a visitarla, bisogna pur caratterizzarla con qualcosa. Bergamo ha dato i natali a eccellenze musicali nel campo della lirica, della classica, del jazz, del rock e del pop, il nostro è un mondo che merita davvero qualche stimolo in più. Noi vogliamo che a Bergamo tutti possano essere messi nella condizione di fare musica, anche quelli che magari non sono famosi. I luoghi deputati alla musica sono pochi ed esclusivi, ci vuole un’inversione di tendenza».

 

 

Quale sarà il vostro referente principale: il pubblico o il privato?
«Come Presidente della Fondazione Donizetti ho il compito di organizzare tutta la programmazione culturale a Bergamo con l’Assessorato alla Cultura. Mentre “Bergamo racconta” è un’iniziativa privata che non si vuol mettere in concorrenza con la Fondazione. Vuole essere da stimolo a tutta una scena che si muove magari nell’ombra. Dobbiamo far conoscere i ragazzi che suonano al CDpM, all’Accademia della Musica, tutti coloro che sono nelle cantine e che meritano di essere ascoltati. E questo dovrebbe favorire la nascita di luoghi dove la gente si incontra».

Lei da quando coltiva la passione per la musica?
«È il 1972, seconda media della scuola Cattaneo. Arriva un ragazzo che si chiama Giancarlo Carrara, per gli amici Mike. Ha sottobraccio un registratore. Ho da farvi ascoltare delle cose, ci dice. Per noi che fino a quel giorno ci siamo occupati solo di tennis, cambia il mondo. Parte il click del registratore e il rock progressivo di Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, Emerson Lake and Palmer. Una folgorazione: da quel momento la musica è il mio hobby principale e ancora oggi occupa buona parte della mia quotidianità. E del mio budget, perché compro almeno un disco al giorno. Ho una collezione di almeno ventimila dischi, tra vinile, cd, iTunes, Spotify».

Studia uno strumento?
«Più di uno. Vado a lezione di percussioni, flauto traverso, sax, armonica a bocca. E seguo i corsi di Storia della Musica al CDpM. Purtroppo gli esiti sono scarsi: il talento è inversamente proporzionale alla voglia di imparare a suonare».

Scusi Berta, ma dove trova il tempo?
«Non riesco sempre a far tutto. La mia giornata inizia al mattino presto e finisce la sera tardi. Ho una buona organizzazione di studio che mi consente di dedicarmi a ciò che più mi piace. La molla è l'entusiasmo che ci metto».

È solo utopia Springsteen a Bergamo?
«Portare un nome del genere significa condividere l’idea con tutti coloro che partecipano al restauro del Donizetti, con la cittadinanza, le istituzioni, l’Amministrazione. Sarebbe una rivoluzione per la Città di Bergamo. Per ora sogniamo. Qualche piccolo contatto c’è stato ma siamo lontanissimi dalla realizzazione dell’idea».

Quando riaprirà il Donizetti?
«La fine lavori è prevista per settembre 2019. Purtroppo quando si apre un cantiere di un edificio non di recente costruzione si può trovare di tutto, la qualcosa potrebbe generare dei ritardi. Ma il termine previsto è corretto».

 

 

Con quale evento?
«Per darle una risposta precisa, devo prima confrontarmi con tutti i direttori delle varie attività all’interno della Fondazione, con l’Amministrazione pubblica. Dovrà essere un avvenimento che rimane nella memoria della nostra città. Per ora abbiamo qualche idea che galleggia ancora senza una definizione precisa».

Lei preferirebbe la London Symphony Orchestra o Bruce Springtseen?
«Il teatro deve essere un luogo di fruizione di un pubblico che sia il più vasto possibile. Pertanto i festeggiamenti della riapertura dovrebberoo gratificare ogni tipo di pubblico che ama ascoltare musica al Donizetti. Il mio sogno è la grandissima rockstar, ma accanto a questo richiamo ci vuole il nome della lirica, della classica per gratificare il lavoro di chi sta dietro al teatro. L’importante è che se ne celebri la sacralità con forme espressive di assoluta qualità».

Trovesi escluso dal quarantennale del Festival del Jazz. Non crede che questa città si dimentichi talvolta delle proprie risorse più nobili?
«Trovesi l’abbiamo invitato quest’anno. Lui ci ha detto che quella sera non avrebbe potuto partecipare al Festival. Posso garantire che alla prossima edizione lo inviteremo di nuovo. E stiamo organizzando una tre giorni al Lazzaretto la prossima estate con concerti di coloro che operano nella realtà bergamasca. Suoneranno Tino Tracanna, Claudio Angeleri, lo stesso Trovesi. Io penso a Bergamo come teatro di rievocazioni di grandi personalità del passato: Gaber, De André, Sergio Leone. E ci impegniamo a fare un festival del jazz migliore di quest’anno. Senza contare che Bergamo Scienza è riconosciuta come una manifestazione di caratura internazionale».

Un difetto della nostra città.
«Siamo poco portati a fare sistema e più portati a coltivare i nostri orti. Potremmo fare di più anche nella musica se tutti andassimo nella stessa direzione e tutti collaborassimo».

E un pregio?
«Il bergamasco è una persona perbene, sostanzialmente onesto, sincero, legato a principi puri. Non è una città dove si trova con facilità il marcio».

Si sente di affermare che Bergamo si sia sprovincializzata?
«L’aeroporto ha contribuito a rendere la città più cosmopolita. L’ha fatta conoscere nel mondo, ha favorito scambi di carattere culturale e Bergamo ha saputo cogliere questa occasione. Le iniziative culturali che si sono susseguite ne sono la testimonianza. Penso anche all’Atalanta e al richiamo di questa piccola grande società di Serie A che, con l’eco che ha e la favola europea che rappresenta, attrae l’attenzione di chi non ci conosce».

 

 

Meglio la Donizetti Night o le notti bianche?
«La notte bianca porta gente in città che ama partecipare a questo evento e che ama fare quattro passi in centro. Lo so che la Donizetti Night ha un altro spessore, un’esperienza fantastica ideata dal direttore artistico della lirica di Bergamo Francesco Micheli, uomo di straordinaria intelligenza e sensibilità. È vero bisognerebbe pensare altri eventi di un certo livello ma la notte bianca ha la sua dignità».

Meglio l’amministrazione Bruni, Tentorio o Gori?
«Ho lavorato con Roberto Bruni, Franco Tentorio e Giorgio Gori. Con tutti mi sono trovato bene e li devo ringraziare per la fiducia ricevuta. Conosco da molto Franco in quanto collega a cui riconosco elevate doti umane e professionali, mentre di Giorgio sono amico sin dai tempi delle medie. Tutte sono persone per bene e hanno dato molto a Bergamo, svolgendo il loro compito in modo encomiabile e contribuendo in modo sostanziale a liberare la città dal torpore tipico della provincia. Giorgio Gori mi ha stupito per capacità, competenza e dedizione e mi dispiace che a volte non si tenga debitamente conto dei risultati che ha raggiunto. Mi auguro che decida di continuare nella sua attività di primo cittadino per il bene di Bergamo».

Qual è l’obbiettivo principale che Bergamo deve darsi?
«Deve convogliare gli sforzi e essere più sistema. Credo che la generazione come la mia, dai cinquanta ai sessant’anni, abbia fatto molto poco. È arrivato il momento di rinserrare le fila e capire che abbiamo moltissime capacità, forze, possibilità. Negli ultimi cinque, sei anni, sfruttate poco. Mi riferisco a una classe dirigente che tra quelli della mia età non ha avuto una continuità all’altezza del compito istituzionale di competenza».

Tentorio dice: Bergamo è un museo a cielo aperto. Questo valore è stato esaltato?
«Negli ultimi anni lo sforzo per fare conoscere Bergamo e le sue bellezze c’è ed è importante. Ci vuole tempo. Non si può pensare che una città che per decenni si è dedicata al lavoro in fabbrica, diventi turistica in un batter d’occhio. Adesso Bergamo è conosciuta a livello internazionale, apprezzata, visitata...».

Quando Bergamo sarà capitale della cultura?
«Quando noi bergamaschi avremo la consapevolezza che siamo la capitale della cultura. Spesso sottovalutiamo ciò che facciamo. Basta fare un salto all’Accademia Carrara per rendersene conto, o vedere cos’è stato il Bergamo Jazz a livello internazionale».

 

 

Un vecchio adagio recita: Bergamo anticamera del Vaticano.
«La Chiesa mi sembra meno invasiva di quanto lo fosse prima e non ne farei un problema etico. Il potere temporale segue da vicino la necessità di tutela di patrimoni ed è indubbio che quelli della Chiesa siano ancora di evidenti proporzioni. Credo quindi che le critiche rivolte a un eventuale esercizio di potere della Chiesa, che si traduce in un presidio nei centri economici che contano, siano poco ragionevoli. Piuttosto dovremmo chiederci se l’utilizzo delle risorse economiche sia sempre ben indirizzato e su questo non sono in grado di rispondere, mi auguro di sì. Poi vorrei ricordare il lavoro che la Chiesa fa attraverso le parrocchie, attraverso i presidi nei luoghi come la stazione, nelle mense, nelle carceri a sostegno diretto di coloro che hanno bisogno e su questo benché io sia un “malpraticante”, credo che la presenza sul territorio sia irrinunciabile e l’attività encomiabile. Dopodiché va anche detto che tutto il sistema andrebbe rivisto: alcune norme di funzionamento della Chiesa oggi risultano anacronistiche».

Per chiudere, che cosa condivide con i suoi due figli?
«Sono separato e i miei figli vivono con la madre. Con il maggiore condivido la passione per Springsteen. Tra i ricordi più belli, il concerto del Boss a San Siro con mio figlio maggiore. A un certo punto incomincia a piovere a dirotto. Fradicio come un pulcino, mi tolgo tutto. Rimango in mutande a pois e un impermeabile trasparente. Vengo notato dai miei allievi dell’università che in processione passano a salutarmi. Mi metto a ridere e li minaccio: non vi venga in mente di dirlo in giro, perché vi boccio tutti...».

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