Botta di Sedrina: trasferiti i migranti torna il deserto nella cattedrale (e non è la sola)
Dal 2014 ospitava i richiedenti asilo, ora gli ultimi sono stati spostati al Gleno o in appartamenti. E adesso che cosa farne di questa megastruttura? E delle altre?
di Giambattista Gherardi
Per chi percorre abitualmente la statale della Val Brembana e per gli abitanti della frazione Botta di Sedrina, è un’icona monumentale che da decenni domina il paesaggio. E da un paio di settimane è, ufficialmente, un palazzone vuoto e inutilizzato. Stiamo parlando della Casa San Giuseppe, nata come sede di ritiri spirituali e, dal 2014, trasformata in Centro di accoglienza straordinaria per migranti dalla Caritas diocesana. Dal 17 dicembre, i 109 ospiti ancora presenti sono stati trasferiti gradualmente nel centro di accoglienza del Gleno, a Bergamo, e negli appartamenti dell’accoglienza diffusa in città e provincia attivati dalla Caritas.
Si chiude in questo modo una lunga storia, che affonda le proprie radici negli anni ’30, con le prime esperienze comunitarie di preghiera e spiritualità di don Pietro Buffoni (curato a Botta, lo scorso anno la Diocesi gli ha dedicato un libro) e che vide realizzata nel 1974 l’enorme struttura progettata dall’ingegner Pietro Servalli, morto nel 2016. Quattro piani (di cui uno interrato), un’ottantina di camere singole, ampi saloni per le attività comunitarie e due cappelle. Negli ultimi anni di attività religiosa agli ospiti (che in un anno arrivavano ad essere più di cinquemila) era garantita l’assistenza spirituale e materiale di un sacerdote e di una dozzina di suore Oblate di Santa Marta, che dal 2014 hanno mantenuto a Zogno una piccola comunità.
L’apertura del Centro di accoglienza fu annunciata nell’estate 2014 dal vescovo Francesco Beschi secondo le indicazioni di Papa Francesco, che durante una visita in una parrocchia di Roma aveva affermato: «I Conventi vuoti non servono alla Chiesa!». Il primo gruppo di 54 richiedenti asilo era formato da 25 migranti provenienti dalla Ca’ Matta di Ponteranica, 19 dalla Casa del Bosco di Bergamo e 10 alla ex casa delle suore Angeline a Casazza. Nel tempo i numeri erano cresciuti, arrivando a sfiorare le duecento unità.
«In questi sette anni c’è stato un grande impegno da parte della Caritas per seguire queste persone in difficoltà», dice don Roberto Trussardi, direttore della Caritas diocesana. Che continua: «Ci sono state fatiche e difficoltà anche perché gli immigrati ospiti si sono inseriti in un piccolo paese come quello di Botta. Non è successo mai niente di grave, però ci sono state delle tensioni, comunque marginali rispetto a quanto si è costruito. Siamo quindi grati alla comunità di Botta per quanto fatto in questi anni. Ringraziamo il Comune, la parrocchia, i volontari e gli operatori che si sono impegnati». Ci sono state ripetute occasioni di integrazione e collaborazione grazie al mondo del volontariato, soprattutto nei primi anni, con interventi concreti in paese per attività di manutenzione sulla pista ciclabile, in oratorio o presso il Nido Peter Pan, ma poi a prevalere sono state le polemiche.
Il clima si è fatto incandescente quando nell’estate 2020 la sezione sedrinese della Lega raccolse oltre settecento firme per richiedere la chiusura del Centro, a causa delle preoccupazioni derivate dai comportamenti «poco consoni tenuti dai cosiddetti richiedenti asilo». A dar fuoco alle polveri fu in particolare la proposta leghista di «far utilizzare dai richiedenti asilo il trasporto pubblico in orari diversi da quelli dei mezzi che portavano gli alunni degli orari scolastici». Un’idea sostenuta a spadone tratto dal deputato Daniele Belotti e dal consigliere regionale Alex Galizzi e bollata da più parti (assessore Giacomo Angeloni del Comune di Bergamo in primis) come degna della peggior apartheid. Da ricordare anche un’interrogazione parlamentare al ministro degli Interni della senatrice Alessandra Gallone di Forza Italia.
A dicembre 2021 la notizia della chiusura ufficiale e definitiva non ha suscitato reazioni vistose fra la gente e sui social, segno che tutto è progressivamente scemato, toni aspri compresi. Un interrogativo che resta sul tavolo riguarda il futuro di una struttura tanto imponente e “antieconomica” per qualsiasi intervento immobiliare, che la Curia sembra peraltro escludere. (...)