L'editoriale del direttore

Inchiesta sull'accoglienza dei migranti: il classico, penoso rito del fango e del sospetto

L’iniziativa della magistratura è legittima, ma si rischia di venire messi in croce perché magari hai voluto aiutare degli immigrati dandogli una mancia. Così ingiustizia è fatta

Inchiesta sull'accoglienza dei migranti: il classico, penoso rito del fango e del sospetto
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di Ettore Ongis

La tempesta che si è abbattuta sull’accoglienza agli immigrati da parte della chiesa bergamasca merita riflessione. Tra 2016 e 2017 l’Italia era stata travolta da un fenomeno che sembrava inarrestabile: 181 mila immigrati arrivati nel 2016, 120 mila l’anno successivo. Persone che sbarcavano nel nostro Paese senza niente in mano.

Erano stati mesi di grande tensione sociale, che aveva alimentato uno spirito xenofobo mai respirato prima nel nostro Paese. Gli immigrati erano diventati il tema caldo dell’agenda politica, con i partiti messi sotto pressione in particolare dalla Lega di Salvini e terrorizzati dalle conseguenze elettorali dell’emergenza. Era difficile reggere sulla barricata del rispetto dei diritti umani. Per questo era stato messo a punto un programma di accoglienza, certamente oneroso per le finanze pubbliche, ma in grado di disinnescare la bomba. Ovviamente i soldi servono a poco se non ci sono delle realtà in grado di organizzare l’accoglienza: lo Stato infatti non è assolutamente in grado di affrontare con mezzi propri l’emergenza.

Vignetta di Luca Nosari

Anche Bergamo si è dovuta confrontare con l’arrivo massiccio di immigrati in quei due anni. E anche qui il meccanismo è scattato alla stessa maniera: trovare organizzazioni in grado di dare risposte concrete. La Chiesa bergamasca, attraverso realtà vicine, si è resa disponibile a farsi carico di questa situazione. Lo ha fatto con molta generosità, a volte forse anche con troppa generosità. Dalla prefettura e dalle istituzioni arrivavano continuamente richieste davanti alle quali era difficile chiudere le porte: c’erano pur sempre in gioco i destini di tanti esseri umani. In sostanza, la Chiesa bergamasca, e la Caritas in particolare, hanno tolto le castagne dal fuoco, facendo da ammortizzatori. Sono state accolte così migliaia di persone, ciascuna con una sua storia, con aspettative e spesso con tanta disperazione dentro. Questo ha comportato un grande sforzo per garantire un trattamento degno, e soprattutto un grande impegno umano di ascolto: gli immigrati che per il mondo erano soltanto numeri, per chi accoglieva erano inevitabilmente persone. Siamo stati testimoni di storie straordinarie, commoventi. Per molti è stata trovata anche una soluzione lavorativa che significava costruire una nuova vita. L’accoglienza non è stata un semplice parcheggio, ma un faticoso accompagnamento verso una soluzione.

Sono passati appena tre anni e, a emergenza ormai finita, sarebbe legittimo aspettarsi un’attestazione di riconoscenza. E invece ecco che arriva l’inchiesta giudiziaria che si abbatte proprio su quel sistema di accoglienza. Come troppo spesso succede nel nostro Paese, questa iniziativa suona come un’operazione di giustizia sommaria. Lasciatecelo dire. Adesso è cominciato il classico rito del fango: notizie che arrivano prima ai giornali che ai diretti interessati e che per l’opinione pubblica suonano non come indagini, ma già come condanne. Questo è inaccettabile. Un polverone dove tutti sembrano ugualmente colpevoli, mentre all’interno dell’inchiesta ci sono ipotesi di responsabilità radicalmente diverse. Così diventa reato aver dato una mancia ad alcuni immigrati chiamati - per dar loro una mano - a fare piccoli lavori: come se si possa considerare la generosità un capo d’imputazione.

In questi casi si dice sempre: lasciamo che la giustizia faccia il suo corso. Facciamo fatica ad accontentarci di questa formula. La giustizia purtroppo il suo corso in parte l’ha già fatto. Il discredito e il fango gettati attraverso i mezzi di comunicazione sono già un’ingiustizia compiuta.

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