L'appello degli albergatori: «Basta dire che siamo la città del Coronavirus»
Turisti evaporati e meeting azzerati. Sulla stampa straniera le foto dei nostri cittadini che fanno causa al governo e del Requiem aumentano la paura della gente

di Heidi Busetti
Una manciata di camere, per il resto tutto tace. La situazione per gli alberghi della città non è facile: i turisti sono evaporati, i meeting azzerati e la prospettiva è quella di un momento di blocco fino a settembre. «Al Cappello d’Oro abbiamo ottantotto camere, e avevamo un’occupazione dell’80 per cento - racconta Daniele Zambonelli, direttore dell’hotel a quattro stelle situato nel cuore della città -, oggi la realtà è decisamente diversa e il punto è che ci avviamo verso quella che per noi è la bassa stagione. Il picco delle prenotazioni coincideva infatti con i mesi del lockdown, quando ci siamo giocati marzo, aprile e maggio, con eventi della portata del Salone del Mobile. Da giugno inizia la discesa, fino settembre quando ricominciano le prenotazioni. Certo, non vogliamo scoraggiarci ma è evidente che c’è un grande timore nel tornare a Bergamo da parte dei nostri clienti. L’idea stampata nella testa delle persone è che siamo la città del Coronavirus e questo non aiuta. Si dovrebbe iniziare ad essere più costruttivi o diventa veramente impossibile».
Questo desiderio di cambiar musica, la necessità che si torni a parlare di avvenimenti positivi legati a Bergamo, è fortemente condivisa da Uta Wilmer, direttrice dell’Hotel Petronilla, in via San Lazzaro 4, che racconta: «Abbiamo riaperto il 6 luglio, perché solo ora sono arrivati i primi ospiti e questa settimana avremo occupate due camere su dodici e nessuna previsione positiva sul futuro». Uta è tedesca, la sua famiglia vive nella zona del Reno, vicino a Bonn, e ha una chiara visione di ciò che sta accadendo. «In questo periodo dell’estate, avevamo il 90 per cento delle camere occupate da stranieri. La maggior parte erano americani o australiani, due nazionalità che in questo momento non si muovono per diverse ragioni: i primi sarebbero costretti alla quarantena, i secondi non affronteranno mai un volo di oltre venti ore con l’incertezza di ciò che può accadere qui. Molti infatti hanno già rimandato il viaggio al 2021, in attesa che si trovi una cura contro il virus».
Ma ciò che rende difficile il tutto, secondo la direttrice, è proprio il tema dell’immagine che la città ha all’estero, in Paesi come la Germania. «È veramente terribile. Oggi tutti nel mondo conoscono Bergamo per il Coronavirus. Ed è un vero peccato perché stavamo andando davvero bene, avevamo un’immagine in crescita costante. La città di Bergamo era molto richiesta, ma ora la gente ha paura. A giugno sono tornata in Germania, dopo quattro mesi di lockdown e tutti lì fanno il tifo per Bergamo. Ma pur essendo innamorati sia della città che del nostro albergo, non partono perché la stampa straniera, ancora a giugno, aveva Bergamo in prima pagina ogni giorno. Una volta parlano dei cittadini che ora fanno causa al Governo; un’altra volta scrivono del Concerto del Requiem. Insomma, risuonano in continuazione notizie che riportano al Coronavirus, incessantemente». (...)