Comunità islamica di Bergamo divisa

Quelle fiamme in via Cenisio

Quelle fiamme in via Cenisio
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In Comune si aspettavano una reazione, ma di certo non così veemente. E invece il primo venerdì di preghiera successivo all'entrata in vigore dell'ordinanza che prevede multe salate (fino a 200 euro) per tutti coloro che intralciano il passaggio sul suolo pubblico e che, di fatto, vieta di pregare in strada, s'è trasformato in un vero inferno in via Cenisio. Lì, infatti, sorge il Centro culturale, luogo di ritrovo ma soprattutto di preghiera della comunità islamica bergamasca, oramai da mesi scissa in due fazioni in netto contrasto tra loro. Nel pomeriggio di venerdì 22 luglio, una quarantina di persone hanno deciso di sfondare una porta della moschea e occupare l'edificio, da tempo chiuso al pubblico per decisione del presidente Mohamed Saleh. Ufficialmente per lavori (effettivamente in corso), ufficiosamente per paura di scontri. Alle 17.30 l'allarme: denso fumo nero si alza dal Centro culturale. Un incendio. Sul posto accorrono Vigili del Fuoco, 118 e forze dell'ordine. I 40 soggetti che avevano fatto irruzione nella moschea vengono evacuati, fortunatamente stanno tutti bene. Nonostante la confusione e la tensione, una volta in strada il gruppo di musulmani si mette a pregare, costringendo le forze dell’ordine a prendere le generalità di tutti coloro che hanno trasgredito all’ordinanza del Comune di Bergamo. Al loro fianco, numerosi cartelli recanti un semplice slogan: «Vogliamo un luogo dove pregare».

Il Comitato musulmani: «Ci dissociamo». Sabato 23 luglio, a circa 24 ore dai fatti di via Cenisio, il Comitato musulmani di Bergamo ci ha tenuto a dissociarsi dagli atti compiuti e ha invitato i fedeli alla calma. Ecco il testo del comunicato diffuso: «In riferimento agli avvenimenti accaduti nella giornata di venerdì 22 luglio 2016 presso il luogo di culto islamico di Via Cenisio, il Comitato Musulmani di Bergamo vuole, con la presente, comunicare di dissociarsi completamente da qualsiasi atto illegale compiutosi contro beni e/o persone, nella giornata suindicata (come lo è stato anche nelle eventuali precedenti situazioni). Ribadiamo che il Comitato Musulmani di Bergamo ha sempre agito nel rispetto della legge come dimostrano questi sei mesi trascorsi dalla chiusura del centro, ed in cui il ruolo del Comitato è stato proprio quello di far mantenere la calma ai fedeli per non incorrere in azioni illegali nonché di ambire ad una soluzione pacifica del problema con l’ausilio delle autorità comunali. Si rammenta inoltre come non appena il Comitato Musulmani di Bergamo ha percepito un preoccupante livello di rabbia dei fedeli, evidentemente esausti dalla poca disponibilità da parte del Centro Culturale Islamico di Bergamo ad arrivare ad una soluzione (anzi, tale Centro ha ulteriormente peggiorato la situazione ponendo una insegna che dichiarava la Moschea pagata dai fedeli come ASSOCIAZIONE PRIVATA), e d’altra parte pressati dal Comune mediante l’emanazione di ordinanza di divieto a pregare per strada, si sia subito provveduto a dare comunicazione via fax e email al comune, alla questura e al prefetto di Bergamo, di come il Comitato non si assuma nessuna responsabilità di qualsiasi fatto o detto illegale da parte dei fedeli. Invitiamo nuovamente i fedeli alla calma e all’autocontrollo, e chiediamo che da parte del comune e dell’associazione Al Waqf Al Islami, proprietario ufficiale della moschea di Bergamo, ci sia un minimo di considerazione nei confronti dei fedeli che meritano rispetto».

 

I commentatori che incitano alla violenza saranno bannati

Pubblicato da Bergamonews su Venerdì 22 luglio 2016

 

Le reazioni della politica. Non c'è dubbio però che il gruppo di contestatori che hanno fatto irruzione nella moschea e che hanno appiccato l'incendio siano membri del neonato Comitato musulmani Bergamo, associazione che riunisce gli islamici della città vicini all'ex presidente del Centro culturale di via Cenisio, Imad El Joulani, e oppositori invece dell'attuale presidente, Mohamed Saleh. Lo scontro, che negli scorsi mesi aveva vissuto altri momenti di forte tensione, non era però mai arrivato a livelli così elevati. E Palazzo Frizzoni non può che prenderne atto, come sottolinea l'assessore Giacomo Angeloni: «Abbiamo provato a trattare fino alle 9 di questa stamattina (venerdì 22 luglio, ndr), siamo dispiaciuti che la scelta sia stata quella di disattendere le leggi ed entrare nella moschea. Ora la situazione è ben gestita dalle forze dell’ordine, nei prossimi giorni ci saranno degli aggiornamenti. Resta fermo il fatto che un’azione di questa natura non favorisce di certo l’impegno dell’Amministrazione comunale nell’individuare un’area per il loro culto. Le Leggi vanno rispettate. È desolante che gli islamici bergamaschi non comprendano che le loro liti interne sono una perdita di tempo per l’obiettivo di assicurare loro gli adeguati spazi per il culto». Anche il vicesindaco e assessore alla Sicurezza Sergio Gandi è intervenuto sull'accaduto: «Il diritto di culto non può essere negato a meno che non si voglia sovvertire la Costituzione vigente. Al tempo stesso, atti di prevaricazione e di arroganza non possono essere permessi né concepiti. Non è un caso che l’Amministrazione comunale abbia riaffermato questi concetti nell’ordinanza adottata qualche giorno fa. È molto semplice: nessuno deve pregare per strada e nessuno può permettersi di violare la proprietà altrui o di compiere atti di violenza pensando di essere assolto dalle leggi vigenti e dagli obblighi che tutti i cittadini rispettano. [...] Chiudere al dialogo tout court anche nei confronti di chi si è sempre ben comportato non ha alcun senso. I responsabili vanno perseguiti, ma il dialogo non può interrompersi. Anche perché da domani i problemi sul tappeto rimangono gli stessi».

 

protesta islam via cenisio beppe bedolis

 

Naturalmente non si sono fatte attendere le parole delle opposizioni, che da tempo criticano la Giunta Gori per l'atteggiamento con cui sta gestendo la questione islamica in città. Andrea Tremaglia, capogruppo di Fratelli d’Italia, ha dichiarato: «L’episodio di via Cenisio è di una gravità inaudita e segna un punto di non ritorno: la radicalizzazione dello scontro tra le fazioni di musulmani che ruotano attorno al Centro culturale dato alle fiamme ha raggiunto un livello assolutamente intollerabile. A questo scopo occorre il più ampio coordinamento e mi auguro che il Comune di Bergamo richieda l’intervento di tutte le autorità competenti, a tutti i livelli, il prima possibile. [...] Occorre ribadire che prima di ogni dialogo e confronto è necessaria la condivisione delle regole base della convivenza, della civiltà, del rispetto e della legge: condizioni senza le quali dialogare è impossibile. Lo spettacolo terribile di oggi purtroppo ci dimostra come queste condizioni al momento evidentemente non esistano». Dello stesso tenore le parole di Alberto Ribolla, capogruppo della Lega Nord: «Dopo questi fatti gravissimi, l’unica cosa che si può affermare è che questa gente non è benvenuta a Bergamo! I residenti di via Cenisio e i cittadini bergamaschi tutti sono stanchi di dover subire le loro lotte interne, i loro capricci, gli atti intimidatori, i disordini ed ora anche un incendio che poteva mettere a repentaglio anche la salute dei residenti delle case vicine. Ricordiamo, inoltre, che il rispetto delle nostre regole, le più banali regole di civile convivenza, per gli islamici è un optional. [...] È ora che l’amministrazione Gori si svegli e chiuda ogni dialogo con questa gente! Si occupi della sicurezza dei suoi concittadini e non del fantomatico diritto di culto di una religione, l’Islam, che non ha nessun accordo con lo Stato Italiano e che è mandante di continui attentati terroristici».

 

musulmani via cenisio

 

Due luoghi di culto diversi per due comunità. Mentre gli esponenti della politica locale insistevano sulle rispettive posizioni, oramai note, sui social esplodeva la rabbia: sono stati diversi i commenti duri, volgari e talvolta addirittura xenofobi (fortunatamente tutti prontamente eliminati) apparsi sulle pagine Facebook dei principali media bergamaschi. Un'emblematica dimostrazione di come la situazione, inserita purtroppo in un contesto internazionale non certo roseo, sia oramai giunta a un punto di non ritorno. Il Comune di Bergamo, dopo aver tentato per mesi una mediazione, la scorsa settimana ha deciso di passare alle "maniere forti" con l'ordinanza che ha scatenato la veemente reazione di parte della comunità islamica. A dimostrazione che, purtroppo, non basta una multa per risolvere il problema. Una soluzione "di comodo" potrebbe essere quella che Palazzo Frizzoni ha studiato in occasione del Ramadan: due luoghi diversi per le due diverse fazioni. Come testimoniano le parole di Angeloni, ci si sta pensando. Ma il problema resta. Saleh, a febbraio, parallelamente alla redazione del nuovo regolamento del Centro culturale di via Cenisio, che prevede tra le altre cose anche una sorta di badge nominativo per tutti coloro che accedono al luogo di culto, ha anche redatto una black list di circa 40 nomi non ammessi all'interno della moschea. Una decisione che ha portato poi alla scissione vera e propria e alla nascita del Comitato musulmani, oltre che alla chiusura del Centro culturale. Solo una questione di giochi di potere o, forse, la paura che tra quei 40 nomi ci sia anche qualche testa calda? Una differenza di non poco conto e che il Comune dovrebbe valutare a fondo prima di decidere se offrire o meno una seconda casa alla comunità islamica bergamasca.

 

mohamed saleh centro culturale islamico di via cenisio bergamo

[Mohamed Saleh]

 

L'inchiesta sui fondi dal Qatar. Intanto, come sottolinea Bergamonews, c'è un altro incendio che arde nella comunità musulmano di Bergamo, sebbene metaforico. È quello legato all'inchiesta della Procura sui fondi intascati dall'ex presidente di via Cenisio El Joulani e usati per l'acquisto di un immobile in via San Fermo, dove si sarebbe voluto realizzare un nuovo centro culturale. È da lì che tutto è partito, dalla denuncia di Saleh e dell'Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche d'Italia) nei confronti di El Joulani e dal sequestro del cantiere. Il pm Carmen Pugliese ha da poco concluso le indagini. L'accusa nei confronti del cardiologo ex presidente di via Cenisio è di truffa aggravata. Mentre il cantiere di via San Fermo è stato dissequestrato, i conti dell'Associazione Comunità islamica di Bergamo costituita proprio da El Joulani restano bloccati. Lì si trovano 2,8 milioni di euro dei quasi 5 elargiti dalla Qatar Charity Foundation per realizzare un enorme centro culturale a Bergamo. I soldi mancanti sono stati spesi per acquistare l’immobile di via San Fermo. Soldi di cui Saleh ha dichiarato di non aver mai saputo nulla nonostante El Joulani li avesse ricevuti quando ancora ricopriva il ruolo di presidente del Centro di via Cenisio. Da qui la denuncia e l'accusa di truffa aggravata.

Ma anche i timori: la Qatar Charity Foundation, infatti, ha un passato tutt'altro che limpido. L'Ente, sin dal 2011, è nella black list delle associazioni che sostengono integralismo e terroristi stilato da Israele e più volte è stato associato al finanziamento di gruppi islamici operanti in diverse parti del mondo. Ad esempio, Foreign Policy, testata sempre attenta alle vicende internazionali, nel 2013 riportava alcune prove per sostenere i legami tra la Qatar Charity Foundation e il terrorismo islamico. Si citava il Syrian Islamic Front, gruppo d’opposizione siriana d’ispirazione jihadista, ma anche le armate islamiche che operavano nel Nord del Mali, sostenute nell’acquisto di armamenti, o della lotta dei Fratelli Musulmani all’ex presidente egiziano Mubarak. L’accusa più grave mossa alla Qatar Charity Foundation, però, porta dritto dritto a Bin Laden: le carte di un processo svolto negli Usa evidenziano come, nel 1993 e nel 1997, il futuro “sceicco del Terrore” si sarebbe rivolto anche all’associazione (allora nota come Qatar Charitable Society) per sostenere l’ascesa di al-Qaeda. Di queste denunce, per noi, è arduo valutarne la totale veridicità, ma restano comunque episodi che non offrono certo la migliore immagine dell'Ente.

 

Termina oggi la festività islamica del Ramadan, fedeli in preghiera alla Moschea di Roma

 

Evitare che le moschee siano finanziate da Paesi esteri. L'errore che il Comune di Bergamo, così come in generale tutte le città italiane, deve evitare è "consegnare" a entità estere non controllabili la gestione del culto islamico in Italia. Il motivo lo spiega il caso di Bruxelles, nello specifico del quartiere diventato emblema della radicalizzazione islamica, Molenbeek. Rachid Madrane, ministro belga di origine marocchina, dopo il terribile attentato parigino del 13 novembre affermò: «Il peccato originale, in Belgio, consiste nell’aver consegnato le chiavi dell’islam nel 1973 all’Arabia Saudita per assicurarci l’approvvigionamento energetico». Il Belgio ha lasciato aprire ai sauditi molte moschee, con corsi di islam e Corano, imam e guide scelte dal Paese finanziatore stesso, senza permettere alle istituzioni locali di avere voce in capitolo. Ciò, sempre secondo Madrane, ha causato «le infiltrazioni di wahabismo e salafismo». Un errore che Bergamo (e l'Italia in generale) deve assolutamente evitare di fare. Bene, dunque, che si porti avanti un dialogo con entrambe le parti, sia con i musulmani integrati da tempo e rispettosi delle regole guidati da Saleh che con il neonato Comitato musulmani di Bergamo. Senza però dimenticare che la libertà di culto cammina a braccetto con la sicurezza della cittadinanza. Cittadinanza che è sempre più esasperata e, soprattutto, impaurita.

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